Diciamola tutta, la Sicilia e l’Italia di problemi ne hanno tanti, soprattutto in campo economico. Oggi partiamo da tre punti aperti, che si arrichiscono di nuovi passaggi, e che riguardano non solo la Sicilia, ma possono essere estesi a tutta l’Italia.

Primo capitolo: l’agricoltura.
L’assessore alle politiche agricole in Sicilia, l’on. Titti Bufardeci, ha dichiarato (cito testualmente): “Quelli che abbiamo raccolto sono numeri letteralmente spaventosi. Da soli danno l’idea di una situazione drammatica, che rende non più rinviabile una politica straordinaria, a tutti i livelli istituzionali, che sia in grado di fronteggiare una crisi che rischia di cancellare agricoltura e zootecnia siciliana”.
Cosa c’è di drammatico? La redditività per ettaro nel 2009 è crollata del 38% scendendo a 76,74 euro, con il risultato di mettere sotto pressione i redditi delle famiglie che lavorano nel mondo agricolo. Questa situazione è ovviamente non solo un problema siciliano, ma investe tutto il mondo agricolo italiano tanto che già nel dicembre del 2009 si era lanciato un allarme per tutta l’Italia affermando che nel 2010 si sarebbero persi 10 miliardi di euro e che oltre 100.000 imprese agricole italiane rischiano la chiusura. La questione è gravissima, ovviamente, e bisogna che vi sia un impegno per na politica agricola coerente ed efficace. Ovviamente questo apre, però, la porta ad un secondo problema spesso sottaciuto: le condizioni di lavoro nelle campagne siciliane e italiane. Tutti noi ci ricordiamo della rivolta avvenuta a Rosarno pochi mesi fa, e alcuni mesi fa, scrivemmo che la situazione era esplosiva anche in Sicilia: gli extracomunitari sono sfruttati in nero, mancano i controlli (e questo genera un minore introito per le casse dello Stato), molti adolescenti e bambini immigrati spariscono senza che nessuno ne sappia nulla (perchè appunto sono clandestini), e anzi gli extracomunitari o diventano oggetto di “rappresaglie” o, nel caso fossero donne, diventano oggetto di “particolari attenzioni” da parte dei capetti locali, che spesso le mandano pure a prostituirsi.

Quindi, se è vero che la redditività è in calo, se è vero che le aziende agricole soffrono, è anche vero che nel mondo dell’agricoltura vi è un malessere che riguarda anceh chi è sfruttato in condizioni di moderna schiavitù, pertanto un intervento politico dovrebbe avere a cuore sia il sostegno dei redditi, sia eliminare le situazioni di schiavitù presenti nelle campagne.

Secondo capitolo: la tecnologia.
In questi giorni vi è un nuovo sciopero dei dipendenti della ST Microelectronics e della Numonyx, l’ennesima protesta contro una mancanza di progetti per lo sviluppo del polo catanese. E’ l’ennesima protesta, dopo quelle che avevamo segnalato qui e qui. Allora ci chiedemmo se il governo ascoltasse la protesta dei lavoratori. Se a distanza di mesi, la questione è ancora aperta, evidentemente no. Preferisce ignorare e acquistare tempo. La stessa strategia che si sta adottando con la Fiat di Termini Imerese, di cui nessuno, peraltro, parla più.

Quale è il problema della ST e della Numonyx? Procediamo con ordine: la ST ha ceduto la Numonyx ad una compagnia americana, la Micron, la quale però, non ha fatto sapere nulla, dopo 6 mesi, delle sue strategie aziendali per i 400 lavoratori di Catania. Anzi i sindacati hanno il sospetto, peraltro abbastanza fondato secondo loro, che la Micron stia cercando di guadagnare tempo per chiudere lo stabilimento di Catania. Di contro la ST Microelectronics ha dichiarato di volere aprire un centro produttivo di pannelli fotovoltaici a Catania, e qui vi è la protesta di altri lavoratori della STM. Infatti, la STM vincola questa produzione alla possibilità di accedere ai soldi del CIPE (si vocifera circa 200 milioni di euro), mentre i lavoratori temono che sia una strategia per chiudere la divisione microporcessori e nanotecnologie di Catania, girare i lavoratori al settore fotovoltaico, per poi, passati i tre anni dell’accordo con il Cipe, chiudere definitivamente il centro di Catania. Nel frattempo il governo tace, mentre la Sharp che doveva produrre i pannelli assieme alla STM, sta pensando di abbandonare definitivamente il progetto. Questo problema investe non solo la Sicilia, ma anche tutta l’Italia, perchè è lo specchio perfetto di come sia gestita a livello italiano la ricerca e i rapporti con le imprese: tante chiacchiere, tante promesse, ma pochi fatti. Dare l’impressione all’elettore che si stia facendo qualcosa, per poi non fare nulla.

Terzo capitolo: benzina.
In questi giorni vi è stato l’ennesimo aumento della benzina.
Il problema non è solo siciliano, ma italiano e pesa sulle tasche di tutti per due volte: intanto quando facciamo benzina, poi quando compriamo prodotti, perchè l’aumento della benzina rende più costosi i trasporti e questo ricade sui prodotti che compriamo. Siamo fregati due volte.
E cosa fa il governo? Permette a varie compagnie di cercare il petrolio a Sciacca , al largo di Trapani vicino le egadi, in tutta l’Italia e in particolare in Basilicata.  Anzi fa di peggio, ignora i disastri ambientali come il lago di Vico e addirittura accoglie in toto le richieste della UP che chiede una legge ambientale più permissiva, senza cercare di abbassare il prezzo della benzina.
Mentre il governo se ne frega della salute e delle tasche degli Italiani, qualche protesta si solleva dall’opposizione, che anzi dichiara tramite l’on. Compagnon (UDC): “I carburanti sono di nuovo aumentati? Non avevamo dubbi, ma ora stiamo superando ogni limite. Le compagnie petrolifere si giustificano sostenendo che in altri Paesi gli aumenti sono piu’ consistenti: per l’Italia sempre di aumento si tratta. Il Governo si decida una buona volta a contrastare certe
logiche speculative che mortificano il potere d’acquisto dei consumatori e delle famiglie. Le proposte dell’Unione di Centro sono note da un pezzo. Iniziamo a togliere di mezzo certe accise ridicole, che non ha alcun senso mantenere, come quella per la guerra d’Abissinia o per l’apertura del Canale di Suez”.

Questi tre problemi sono fotografia precisa di una realtà che non è solo siciliana, ma anche italiana e che è coscientemente ignorata, anzi negata, dal governo italiano.