Francesco Cossiga è stato tantissime cose: docente stimato, politico di lungo corso, servitore dello stato, ma soprattutto è stato un uomo libero, così libero da sembrare pazzo. Il Presidente Cossiga era solamente pazzo per la libertà, la sua libertà e quella del suo Paese, da qui nascevano  una schiettezza e una franchezza che non sempre sono state capite e che anzi gli sono spesso costate caro. Cossiga fu anzitutto libero nei confronti del potere: non cercò mai incarichi o posizioni privilegiate, al contrario fu solo e sempre un semplice e fedele servitore dello Stato che si impegnò costantemente a  tutelare e salvaguardare; non a caso nella sua lunga carriera politica seppe più volte dimettersi assumendosi volta per volta tutte le responsabilità anche quando non erano sue. Forse si divertiva anche a fare il parafulmine di tensioni sociali e scottanti situazioni politiche e arrivò a sorridere  pure di questa cosa, tanto che non gli facevano più paura quelli che scrivevano “Kossiga” e che dai muri degli anni ’70 fino alle bacheche di facebook ne invocavano una precoce e cruenta dipartita. Un certo giornalismo e una certa volgata lo volevano protagonista di oscure trame e custode di terribili segreti, e lui col passare del tempo prese gusto  a vedersi come il grande vecchio della Repubblica e spesso e volentieri, specie da quando non era più nella politica attiva, stava al gioco e incoraggiava i voli pindarici di intere generazioni di dietrologi che spinti dalla sua perfida ironia erano capaci anche di attribuirgli la caduta dell’impero romano. L’ironia di Cossiga fu il “sintomo” più evidente della sua pazza libertà, una ironia graffiante che non salvava nessuno neppure se stesso. La libertà di Cossiga fu caratterizzata anche dal coraggio che caratterizzò sempre la sua attività di uomo dello Stato e di politico, e il suo fu un coraggio profetico che gli permise di essere protagonista e spesso fautore dei passaggi fondamentali della vita della Repubblica italiana e gli permise anche di vedere più lontano dei suoi compagni di viaggio. Quest’uomo profondamente libero aveva probabilmente solo un peso: la tragica morte di Aldo Moro. Si è sempre considerato responsabile della morte dello statista democristiano, come ministro degli interni che gestì il sequestro Moro  si spese per la linea della fermezza e si assunse, lui solo, la piena responsabilità di quella tragedia italiana dimettendosi all’indomani del rinvenimento del cadavere di Moro in via Caetani. Dal quel giorno per mesi si svegliò di soprassalto tormentato dal rimorso per l’assassinio del suo amico e compagno di partito e attribuiva i suoi prematuri capelli bianchi e le sue macchie sulla pelle al trauma non superato. Ora che la sua esperienza qui sulla terra è finita troverà la realizzazione della sua libertà in quell’altra vita in cui ha sempre creduto e probabilmente si presenterà al buon Dio come cattolico liberale come amava definirsi, ma il suo primo pensiero sarà quello di rivedere l’antico amico Aldo e di scusarsi con lui per ritrovare la pace perduta in quel maggio del 1978 e ritornare ad essere, questa volta completamente, libero.

Adriano Frinchi