In questi giorni si è parlato del caso Mondadori , ovvero del decreto 40 (poi convertito in legge) che di fatto permette a Mondadori, per una vicenda risalente al 1991, di pagare solo 8,6 milioni di euro al fisco, invece che 350 milioni di euro.
Ma questa vicenda potrebbe essere solo il preludio ad un altro intervento similare, che riguarderebbe il Lodo Mondadori, ovvero la causa in corso tra CIR e Finivest che origina dalla guerra finanziaria che si fecero De Benedetti e Berlusconi per il controllo della Mondadori medesima.

Nel 1990, per dirimere l’intricata vicenda, vi è un primo arbitrato a cui si rivolgono i contendenti: questo arbitrato da ragione a De Benedetti; come conseguenza Finivest oppone ricorso e impugna l’arbitrato di fronte al giudice che da ragione, questa volta a Berlusconi.
Successivamente, nel 1995, in seguito alle dichiarazioni di Stefania Ariosto, la Guardia di Finanza trovò le prove secondo le quali, la sentenza del giudice non era stata “genuina”, ma condizionata pesantemente da Previti, allora avvocato di Berlusconi.
Queste prove, accertate e verificate, diedero vita ad una serie di processi per corruzione e parallelamente, diedero la possibilità alla CIR di effettuare un ulteriore ricorso, lamentando il danno patito per il giudizio non equanime, dovuto ai vizi legati agli episodi di corruzione operati da Previti.
A questo punto arriviamo ai giorni nostri: il 3 ottobre del 2009 il giudice incaricato, decide a favore della CIR e anzi pronuncia una sentenza che prevede che Finivest paghi 750 milioni di euro a De Benedetti ), e ovviamente Finivest ha subito presentato ricorso.
Questa e la vicenda, in maniera molto succinta.
Ma perchè allora, per alcuni, il Lodo Mondadori potrebbe tornare alla ribalta similmente alla discussione sulle tasse non pagate da Mondadori medesima?
E come si lega questa vicenda alla crisi politica attuale?
A luglio, il Guardasigilli Angelino Alfano aveva provato a bloccare la sentenza tramite decreto legge, con il sistema già visto per il decreto 40, ovvero piazzare un emendamento del tutto estraneo per materia in un decreto già in dirittura d’arrivo e tale da dover essere convertito per assoluta necessità. In questo caso la norma era all’interno della manovra economica.
Infatti il governo inserisce un decreto che riscrivele regole per i processi civili pendenti: la sospensione di sei mesi e una nuova figura, quella dell’ausiliario del giudice, che studia e propone una soluzione nel merito. Se la soluzione è accolta dalle parti, l’ausiliario si becca una lauta parcella, e la causa è finita; se invece i contendenti non sono d’accordo, si va alla sentenza per le vie regolari, ma sul perdente pesa la minaccia di doversi accollare tutte le spese per aver rifiutato la “via breve” e riguardava 5,6 milioni di cause pendenti.
Il decreto fu poi ritirato per le proteste dell’opposizione che anzi affermò per bocca dell’on.le Rao: “Come volevasi dimostrare il governo sta facendo marcia indietro anche sull’emendamento alla manovra che introduceva surrettiziamente la riforma del processo civile. Ma non basta. Questo emendamento non va riformulato, va semplicemente ritirato’. Lo dichiara in una nota il deputato dell’UDC Roberto Rao componente della commissione giustizia della Camera dei deputati. “Qualsiasi riforma che incida nei rapporti fra le parti e il giudice – spiega – deve essere inserita in provvedimenti che riguardano la giustizia e che devono essere pertanto affrontati e discussi nelle commissioni competenti. Altrimenti sara’ soltanto l’ennesimo pasticcio che non risolvera’ i gravi problemi della giustizia italiana”.

L’articolo, era stato ritirato, ma sta ritornando inserito nei famosi 5 punti su cui Berlusconi vuole la fiducia: prima la sospensione, articolata in due fasi, due-tre mesi per prendere la decisione se seguire oppure no la strada alternativa a quella tradizionale, poi altri sei mesi per permettere all’ausiliario di costruire una soluzione processuale. Poi la decisione delle parti e l’opzione tra l’assenso alla mediazione o il rifiuto con quello che, in quelle condizioni, può comportare economicamente il rischio del dibattimento tradizionale.
Ovviamente la chiave di tutto è l’ausiliario, che non è un magistrato, ma avvocati, notai, avvocati dello Stato, docenti o ricercatori universitari, anche magistrati in pensione, che pigliano in carico un processo con l’obiettivo di chiuderlo. E sono ben pagati solo se azzeccano la soluzione, altrimenti incassano una sorta di risarcimento al lavoro fatto.
Il problema è che questo decreto è a rischio incostituzionalità ed in contrasto contro la procedura processuale perchè l’arbitrato, rappresenta una prima fase del processo, e non può essere tirata in ballo quando già il processo è iniziato, senza contare che si va ad affidare più di 5 milioni di processi a soggetti che non sono giudici, ma che potrebbero anche trattarsi di avvocati alle prime armi che per dare il loro giudizio, non è detto che si affidino alle prove, perchè potrebbero decidere secondo “equità” e quindi in maniera estremamente soggettiva, visto che, come ben sanno tutti, “la legge si può sempre intepretare”.
In tutto questo come si inserisce il lodo Mondadori e la crisi politica? Se una riforma del genere prendesse corpo, la Finivest potrebbe bloccare il suo ricorso, ottenere un’ulteriore sospensione e cheidere l’arbitrato, ottenendo la possibilità di giostrare e ottenere forti sconti sulla precedente sentenza. Dal canto loro, i finiani, ritengono che sia una riforma inaccettabile e proprio su questo punto, hanno dato, e promettono, battaglia.