Venticinque anni fa dei magistrati napoletani scrivevano la pagina più nera della giustizia italiana, il 17 settembre 1985 Enzo Tortora dopo ben sette mesi di detenzione veniva ingiustamente condannato a 10 anni. Soltanto dopo un anno e dopo un’infinità di umiliazioni la Corte d’Appello di Napoli assolveva con formula piena il celebre conduttore di Portobello e iniziava un processo per calunnia per tutti quei pentiti che per svariati motivi si erano accaniti contro il povero Tortora. Sono passati venticinque anni ed Enzo Tortora sfinito dal suo calvario giudiziario e da un tumore si è spento nel 1988, i giudici che si accanirono contro Tortora non sono stati oggetto nemmeno di una indagine o di un procedimento disciplinare, anzi hanno continuato tranquillamente le loro carriere, e Gianni Melluso, uno dei pentiti che accusò Tortora, è tornato in libertà nel 2009 e ha chiesto perdono ai familiari di Tortora. Sono passati venticinque anni e nonostante tante altre vittime della malagiustizia e il “referendum Tortora”  del 1987  nessuna seria riforma della giustizia italiana è stata messa in cantiere. Oggi il centrodestra al governo, che in passato era stato uno dei paladini per la battaglia sulla giustizia giusta, è impantanato nella polemica politica per alcuni provvedimenti che sembrano più che altro mirati a liberare il Premier dai suoi guai giudiziari e il dibattito politico verte unicamente intorno a questi temi con l’unica lodevole e scontata eccezione dei radicali che custodi della memoria del caso Tortora hanno presentato una mozione parlamentare chiaramente passata sotto silenzio. Sì perché c’è anche il silenzio della stampa e delle tv che si indignano e fanno le barricate contro il ddl sulle intercettazioni ma non sono capaci di condurre una campagna per la giustizia giusta, forse perché la giustizia giusta non fa vendere tante copie e non alza gli indici di ascolto televisivi come le gogne mediatiche, le manette sotto i riflettori e i tabulati delle intercettazioni sbattuti in prima pagina.  Enzo Tortora alla fine della sua odissea giudiziaria tornando alla conduzione del suo Portobello disse: “io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi. Sarò qui, resterò qui, anche per loro”. Venticinque anni dopo la voce di Tortora, e di quelli come lui, è una voce inascoltata che continua a chiedere a chiedere la responsabilità civile dei magistrati, la separazione della carriere, un sistema che vagli la professionalità dei magistrati, l’incompatibilità tra permanenza nell’ordine giudiziario e incarichi elettivi e non, la modernizzazione tecnologica degli uffici giudiziari, la semplificazione delle modalità di notifica degli atti giudiziari, un adeguamento degli organici del personale e tempi standard dei procedimenti civili e penali. Chi avrà il coraggio e la responsabilità di rispondere ad Enzo Tortora?

Adriano Frinchi