Arriva un momento della nostra vita in cui ci si volta indietro a guardare quanta (e quale) strada si è fatta. È lo stesso momento in cui si prende coscienza che ciò che conta di più non è dove si è arrivati, ma dove si può ancora arrivare. Quel – difficile ma necessario – momento è arrivato anche per la squadra di EstremoCentro Sicilia. Ci siamo girati e con la mente siamo tornati a quel gennaio in cui abbiamo lanciato questo blog: da allora sono passati 10 mesi, 10 lunghi mesi di impegno, passione e azione. Abbiamo utilizzato il tempo a disposizione per dire la nostra sugli argomenti d’attualità più disparata: economia, società, politica. Abbiamo cercato di non tralasciare nulla e facendo tutto questo abbiamo sempre cercato di coinvolgervi in un dialogo, in un libero e franco scambio di idee e opinioni. Perché, se oggi possiamo dire di aver fatto un buon lavoro, è perché al nostro fianco ci siete sempre stati, cari lettori. Chi per sostenerci e chi per punzecchiarci, chi per correggerci e chi per aiutarci.

Oggi, insieme a tutti gli amici delle altre regioni, stiamo per trasferirci su qualcosa di più grande e importante. Per garantirvi, infatti, un’informazione sempre accattivante e costruttiva, abbiamo scelto di “trasferirci” su una piattaforma nuova, sul network di Estremocentro.net. Estremocentro continuerà ad essere quello che è sempre stato fino ad adesso: un insieme di ragazze e ragazzi liberi da ogni vecchio e superato rigido schema di pensiero e forti della propria identità e delle proprie idee. Siamo diventati un vero e proprio “movimento di pensiero”, espressione di una politica “dal basso”, vicina ai problemi concreti delle persone e dei territori. Che ci chiamate pensatoio, think tank o semplicemente blog, a noi non cambia nulla. Ciò che conta veramente è la sostanza delle nostre azioni e dei nostri scritti, che voi avete avuto modo di giudicare giorno per giorno, durante questi fantastici dieci mesi. Oggi però sentiamo la necessità di far confluire tutto il nostro impegno in qualcosa di più grande, non solo in nuove “architetture”, ma in una città nuova di zecca. Ecco cosa sarà Estremocentro.net: un sito “padre” (luogo d’incontro tra le istanze della politica nazionale e il nostro network) che sia l’addizione dei vari siti regionali: un sito padre come unione di siti figli, e non viceversa. E il nostro blog darà il suo contributo, così come ha sempre fatto.

Cari lettori, un blog è un’estensione della vita di ciascuno di noi. Un’estensione, però, che ha come scopo finale quello di saldarsi e implementarsi in qualcosa di nuovo. In questi mesi, un giorno dopo l’altro, abbiamo fatto in modo che un piccolo pezzo di noi, delle nostre idee, delle nostre opinioni uscisse fuori e si incontrasse con chi è stato disponibile ad accoglierlo: ne è sempre uscito rafforzato e rinnovato, pronto a rifarlo l’indomani, se necessario. È stato come lavorare a un lungo puzzle. Oggi è direttamente il nostro blog a “uscire” e a fondersi con gli altri; non temete: noi resteremo sempre gli stessi e così anche EstremoCentro Sicilia. Ma non dovete guardare al nuovo sito (a proposito, ecco il link: sicilia.estremocentro.net) semplicemente come un restyling di facciata. Da ora in avanti, infatti, faremo parte – ancora più convintamente – di un solido movimento, quello dei Volontari per Casini. E state tranquilli – il Presidente non ce ne vorrà – che da oggi in poi saremo ancora di più Volontari per la “gente”. Per voi. Ci vediamo lì, nella nostra (e vostra) nuova casa!

GIUSEPPE PORTONERA

Una riforma della giustizia di ampio respiro e che sia particolarmente centrata sul miglioramento dell’efficienza del sistema giudiziario è da tempo auspicata dagli addetti ai lavori e dalle forze politiche, ed è dunque naturale e quasi doveroso che il tema della giustizia figuri tra le cinque priorità che il Presidente del Consiglio ha voluto mettere nell’agenda del governo. Parlando alle Camere il Premier ha indicato gli elementi che ha suo avviso sono necessari per  una riforma della giustizia: riforma del processo penale; separazione delle carriere; riforma e sdoppiamento del Consiglio Superiore della magistratura;  accelerazione dei processi e smaltimento delle cause civili pendenti; soluzione al sovraffollamento delle carceri; semplificazione del processo civile e aumento delle risorse finanziarie per la giustizia. Gli elementi indicati dal presidente Berlusconi sono in alcuni casi interessanti e degni di considerazione, tuttavia il burrascoso clima politico e le tensioni istituzionali che lo stesso Premier quotidianamente alimenta, rendono assolutamente difficile una condivisa riforma della giustizia. Ci sono altri elementi non meno rilevanti che rendono pressoché impossibile una reale azione riformatrice. Il primo elemento è l’assenza di un sincero spirito riformatore del Presidente del Consiglio. La sollecitudine che egli dimostra nei confronti del problema giustizia non sembra dettata da una reale volontà riformatrice ma da una ricerca esecrabile di impunità. Non è possibile che la riforma della giustizia venga studiata e progettata dal Ministro della Giustizia coadiuvato dall’avvocato del Premier con l’unico fine di fronteggiare i suoi guai giudiziari. E’ incredibile anche che il Capo del Governo abbia manifestato pubblicamente la volontà di attuare una riforma che abbia dei caratteri limitativi e punitivi nei confronti della magistratura che egli definisce  “politicizzata”. Questo sentimento degrada e snatura  l’azione del governo  che non è più destinata a fare qualcosa “per”, ma è “contro” qualcosa o qualcuno. Le riforme sono sempre il tentativo di risolvere un problema o di migliorare una situazione , giammai una clava da utilizzare contro veri o presunti avversari politici.  Se la volontà riformatrice appare dunque viziata , dubbi e perplessità desta anche il contenuto di alcuni provvedimenti annunciati. Ad esempio, quando si invoca l’accelerazione dei processi si ripropone forse il già discusso “processo breve” ? Se cosi fosse , e della parole del Presidente non si evince il contrario,  si è già dimostrato che il risultato di tale provvedimento  sarebbe l’ “eutanasia” di molti processi e dunque della giustizia stessa. Ancora, come pensa il governo di smaltire l’incredibile mole di cause civili? Forse con una giustizia “privatizzata” che alleggerisca i giudici togati, ma che di fatto toglierebbe al cittadino il diritto e la possibilità di ricorrere al giudice civile? Risultano anche fumose e non chiare le dichiarazioni riguardanti l’aumento delle risorse per la giustizia e la riduzione del sovraffollamento delle carceri: il Presidente Berlusconi non ha mai indicato quanti e quali sono queste risorse  e se intende varare un nuovo piano carceri. Infine non si riesce a capire come e perché il Premier colleghi la revisione dei rapporti tra politica e magistratura al miglior funzionamento della macchina giudiziaria. Alcuni provvedimenti infatti sembrano destinati più che a migliorare l’efficienza della giustizia ad indebolire le procure della Repubblica, che in alcuni casi il Presidente del Consiglio considera sovversive e a cui imputa la colpa di tramare contro lui e il suo governo.  Questa convinzione del Premier impedisce una discussione serena e proficua anche su alcuni temi fondamentali come la separazione delle carriere e la responsabilità civile dei magistrati: si può mai discutere con qualcuno che considera la magistratura una forza eversiva? All’Italia occorre una riforma generale della giustizia, non bastano provvedimenti disorganici e settoriali che celano molto spesso degli interessi personali,  inevitabilmente destinati a danneggiare l’interesse della collettività.

Adriano Frinchi

Relativamente alla crisi della Fincantieri di cui abbiamo parlato precedentemente abbiamo il piacere di ricevere e pubblicare integralmente una mail del dott. Pier Luigi Caffese che, spiega e approfondisce alcuni aspetti fondamentali della vicenda e della gestione della Fincantieri.

1.Bono prima presenta un piano doloroso di tagli,licenziamenti,chiusura cantieri
2.Ieri con i sindacati,Bono fa marcia indietro,si rimangia il piano di perdite per 10 anni da Lui predisposto e galleggia non capendo il vento che spira
3.La realtà vera è che non ha ordini,il puntare tutto sul cruiser è stato un boomerang fatale e non ha propulsioni risparmiose come Wartsila che puntando sull’energia si sviluppa e da’ profitti
4.Segnalammo il tutto a Tirennia(Pigorini) e Bono(Fincantieri) e fummo trattati come visionari e peggio con disprezzo
5.Fincantieri con l’energia (Consorzio Itacars Bioporti ) deve aprirsi al mercato,andare in borsa ma presentare progetti nuovi nell’area traghetti e navi militari perchè i capitali si ottengono su grandi progetti portuali energetici e non su bellissime navi crociera dove il mercato è fermo
6.Il piano New Fincantieri Itacars Group è stato consegnato a Governo,Ministeri,Regioni interessate ma deve prendersi una rapida decisione sul board Fincantieri che è inadeguato alla sfida e che non ha la vision verso l’energia e Bioporti perchè non ha capito che i migliori impiantisti-saldatori sono in Fincantieri e per loro fare una nave o una centrale energetica o un bioporto è lo stesso lavoro.Wartsila lo capi’ in tempo, Bono no.
7.I capitani,gli energetici,quelli che vogliono propulsioni piu’ pulite e risparmiose denunciano i gravi errori strategici del board Fincantieri che, se non cambiato con urgenza, porterà Fincantieri alla chiusura perchè non si salva con pochi ordini statali-militari. Bono risponderà che Lui è nell’energia con piattaforma offshore Eni, ma la svolta energetica Itacars-Bioporti è ben diversa e forse incomprensibile per chi non vede cosa fanno Wartsila, i Giapponesi, gli Usa nelle turbine biogas che sono eguali per elettricità e propulsione marina. Si aggiorni Bono non basta la laurea in ingegneria navale, ma il mare bisogna conoscerlo anche in termini energetici e di passione per le maestranze che ci lavorano.
Cordiali saluti.
cap.dr.Pier Luigi Caffese

 

Nella mattinata di sabato 25 settembre si è svolto a Messina un incontro, promosso dell’Unione di Centro verso il Partito della Nazione, dal tema “La responsabilità è al centro”. All’incontro hanno preso parte come relatori il sen. Gianpiero D’Alia (capogruppo al Senato UDC), l’on. Rocco Buttiglione e il Presidente dell’UDC on. Pierferdinando Casini. Alla convention hanno partecipato militanti UDC provenienti da ogni parte della Sicilia, simpatizzanti, giovani, professionisti interessati alla proposta di una politica e di un governo che trovi la sua fonte e il suo culmine nella responsabilità nei confronti dei cittadini, dei precari, delle famiglie, delle minoranze, degli italiani.

Diversi sono stati i temi politici e sociali toccati dagli intervenuti. In primis la necessità costitutiva, fondamentale per un partito nuovo (quale vuole essere l’UDC verso il Partito della Nazione) di selezionare e far crescere una nuova classe dirigente, impegnata in politica e ben radicata su valori quali legalità e sviluppo, tanto necessari alle nostre terre. Un nuovo partito attento alla famiglie, cuore pulsante di un’Italia che deve guardare al futuro e prospettare un cambiamento necessario in tante zone del nostro paese. Un nuovo partito attento ai giovani, oggi costretti tante volte ad emigrare verso il nord Italia o fuori Italia. Giovani che devono rappresentare la forza del cambiamento e la spinta fondamentale per far crescere una nazione quale è l’Italia che non può più permettersi un depauperamento di tale portata.

Un partito nuovo che deve muoversi e associare, aggregare non a partire dal compromesso, dalla raccomandazione, dal potere, ma dall’entusiasmo, dalla militanza, dalla passione e la convinzione di rinnovare l’Italia nella sua struttura e nella sua concezione politica. Un partito nuovo che dice no ai tagli alla scuola, all’università che rappresentano i pilastri dell’innovazione, della formazione, della scommessa per il progresso del nostro paese e come tali non depotenziabili. Un partito nuovo che abbia nei volti dei propri dirigenti l’impegno, la sostanza, il coraggio del sindaco di Pollica, paese nel salernitano, barbaramente ucciso nelle settimane scorse, e non il volto di quei politici che nascondono le loro relazioni con il territorio dietro l’immunità parlamentare.

Un partito in grado di avere e quindi di annunciare una visione del mondo, di un nuovo mondo che deve vedere come protagonisti società e classe dirigente in grado di accettare e cavalcare le sfide delle varie crisi economiche, morali, sociali in genere. Un partito che possa rappresentare, senza strumentalizzazioni o improprie appropriazioni, il popolo del “Family Day” e quei cattolici moderati che non sono più rappresentati e talvolta “difesi” dai partiti del bipolarismo morente italiano. Un partito che sappia parlare alla cultura e alla fede cristiana-cattolica con una chiarezza che nasce dal fatto che la cattolicità, quindi l’universalità, è propria solo della Chiesa e i partiti sono solo un parte di una società, di una realtà, e che quindi non possono rappresentare nella totalità quello che è l’immenso, variegato e positivo mondo cattolico.

Un partito nuovo che vuole trovare nella sua fatica quell’amore che ha mosso milioni di italiani, cattolici e non, di destra di centro e di sinistra, che sono stati in grado di ricostruire l’Italia dopo la seconda guerra mondiale, una ricostruzione possibile grazie al contributo di tutti e che ha portato l’Italia a divenire una delle Nazioni più ricche e d’avanguardia nel mondo.

Un partito nuovo che desidera parlare, ad un anno di distanza, non di case di ex ministri o di Presidenti della Camera o di veline, ma della ricostruzione di Gianpilieri dimenticata dalla politica del fare gossip.

Ritengo, personalmente, che una forza moderata quale vuole essere il nascente Partito della Nazione, con questi intenti, possa rappresentare una risorsa nel panorama politico locale e nazionale, al pari di altre realtà già esistenti e che operano per l’edificazione dell’autentico bene comune nella società e per la società. Noi giovani, in questo marasma politico-mediatico, siamo chiamati al discernimento circa le nostre scelte e le nostre azioni nel campo politico-sociale, e siamo altresì chiamati alla formazione se davvero, nella diversità delle nostre caratteristiche e peculiarità, vogliamo costruire e rappresentare un futuro che si chiama presente.

Riceviamo e pubblichiamo di Rocco Gumina

In Italia l’unica categoria che non risente della crisi è quella degli indignati di professione. Solitamente l’indignato professionista frequenta salotti di un certo livello, scrive su certi giornali, muove abilmente l’opinione pubblica specie sulla rete, ma soprattutto è politicamente corretto.  Sì, perché non ci si può mica indignare per tutto e per tutti, ma ci si indigna solamente secondo le convenienze e gli interessi. Così senza nessun criterio di verità e di giustizia ci si indigna per il terremoto di Haiti e non per le alluvioni che hanno distrutto il Pakistan. Eppure i bambini pakistani come quelli haitiani sono rimasti senza famiglia e senza casa ma non si è visto nessuno precipitarsi in Pakistan o muovere l’opinione pubblica per fornire più aiuti possibili. Non sarà che i ricchi e i potenti europei ed americani hanno interesse a mettere le mani su Haiti e a tenere quel covo di talebani che è il Pakistan in difficoltà? Forse è solo un pensiero cattivo o forse gli indignati di professione erano solamente in vacanza. Accade però che i nostri eroici indignati cominciano a battersi per la sacrosanta causa di Sakineh, la donna iraniana accusata di adulterio che la legge islamica vigente in Iran condanna alla lapidazione, e così arrivano manifestazioni su manifestazioni in ogni parte d’Europa ed America, reazioni dei governi mondiali, striscioni su monumenti e si scomoda perfino la  première dame francese Carla Bruni per salvare la vita di Sakineh. Nulla di ineccepibile fin qua, ma dall’altra parte dell’oceano Atlantico, negli Stati Uniti del mito progressista Barack Obama, una donna con un evidente ritardo mentale e che non ha ucciso nessuno viene condannata a morte e uccisa con iniezione letale. Tutto questo nel silenzio pressoché totale dei soliti indignati che, non si sa per quale motivo, hanno ritenuto non opportuno schierarsi a favore di questa povera donna. Teresa Lewis, così si chiama la donna uccisa in Virginia, non mai ucciso nessuno, la sua colpa, che non ha mai negato, è di essere stata “la mente” dell’omicidio del marito e del figlio del marito eseguito da due sicari che si sarebbero approfittati del ritardo mentale di Teresa per intascare i 350 mila dollari della polizza sulla vita del marito. Il suo ritardo mentale e la confessione dei due sicari, che se la sono cavati con due ergastoli, non sono riusciti a fermare il boia che nella camera della morte del penitenziario femminile di Fluwanna in Virginia ha eseguito le iniezioni letali. A questo punto è lecito chiedersi perché nessuno degli indignati speciali ha sentito il dovere di spendere una parola per Teresa, donna come Sakineh e condannata a morte come la donna iraniana per una accusa assurda. A pensare male si potrebbe rispondere che è facile, fin troppo facile, indignarsi e fare la voce grossa con il regime di Teheran e che sono tutti bravi a scagliarsi contro Amadinejad e gli ayatollah; meno bravi sono però ad alzare il loro ditino e a dire al signor Presidente Obama che nella sua grande democrazia, nel Paese del “yes, we can” tra le tante cose che si possono fare e che purtroppo si fanno c’è anche la pena di morte, la stessa che comminano i tribunali della tanto vituperata teocrazia iraniana. Ma nessun dito si è alzato, nessun telo e nessuno striscione è stato dispiegato, nessuna cancelleria europea o di qualunque altro paese democratico, neanche quelle che facevano pressione per Sakineh,  si è sentita in dovere di mandare una noticina al Segretario di Stato americano, la stessa signora Clinton che si era indignata per la condanna a morte di una donna iraniana. Chi si è indignato per la condanna a morte di  Sakineh aveva il dovere morale di indignarsi per la condanna a morte di Teresa Lewis e di ogni altro essere umano che ad ogni latitudine viene privato del bene prezioso della vita, perché la pena di morte è una cosa terribile e inumana a Teheran come a Washington, perché la vita è vita indipendentemente dal fatto che il tuo nome sia Teresa o Sakineh.

Adriano Frinchi

Un tempo le scissioni dei partiti erano dei veri e propri drammi politici e umani e nell’immaginario politico collettivo erano eventi che avevano in sé qualcosa di epico, erano momenti di scelte forti e coraggiose che molto spesso segnavano la vita pubblica italiana. Così fu per la Scissione di Livorno quando Bordiga e Gramsci abbandonarono i lavori del XVII congresso socialista per fondare il Partito Comunista d’Italia e per restare a sinistra potremmo ricordare la scissione di Palazzo Barberini con la quale Saragat diede inizio alla socialdemocrazia italiana. Più recentemente il dissolvimento del Pci e della Dc ha dato luogo a delle divisioni più o meno traumatiche che comunque hanno segnato il quadro politico italiano: è il caso della Svolta della Bolognina di Achille Occhetto e della decisione di Mino Martinazzoli di sciogliere la Democrazia Cristiana. Erano quelli i tempi di una “politica atomica”, nel senso etimologico del termine atomo, dove i partiti cementati dalle ideologie e dalle dottrine politiche erano le particelle indivisibili della politica. Oggi invece la politica italiana, come la scienza della fine dell’ottocento, ha scoperto che l’atomo è divisibile e così da vent’anni a questa parte i partiti italiani nascono e muoiono velocemente e sono sempre più personalizzati e personali, fragili e vuoti. Questa situazione è stata probabilmente determinata dal crollo delle ideologie e conseguentemente dei partiti-chiesa come Dc e Pci, ma anche dall’affermarsi del modello di  partito di plastica brevettato dal Cavaliere e prontamente copiato da tanti altri. Tuttavia questi importanti fattori storici e politici non possono giustificare l’incredibile passaggio dal partito-chiesa al partito-tram. Una volta il partito era una vera e propria chiesa con i suoi dogmi e le sue ritualità, con iscritti e dirigenti alla stregua di fedeli devoti che marciavano compattamente verso il sol dell’avvenire o il paradiso promesso. Oggi invece i partiti somigliano sempre di più a dei tram che viaggiano in diverse direzioni, spesso ben poco ideali, dove tesserati ed eletti sembrano degli avventori sempre pronti a scendere e a salire dal mezzo per non perdere la coincidenza con il potere e la convenienza. Se il partito-chiesa era una esagerazione che giustamente è stata superata, tuttavia il partito-tram non sembra una conquista di civiltà politica, al contrario da ciò si può dedurre che probabilmente ad un certo punto della vita civile di questo Paese si è “buttata l’acqua sporca con tutto il bambino” per cui quando ci si è sbarazzati delle degenerazioni del sistema dei partiti sono andati al macero anche quei valori politici basilari di cui erano portatrici le organizzazioni politiche. Un valore politico riconosciuto nei vecchi partiti era l’unità,  che i politici di una volta sapevano declinare come libera e viva contro una unità oppressiva e disumana. Ciò era possibile perché i protagonisti della vita politica avevano ben chiaro e acquisito il valore della diversità che non era mai mera contrapposizione ma movimento, curiosità e capacità di persuadere e di essere persuasi. Al partito di plastica e al partito-tram si è giunti non solo a causa dell’oblio dei valori di unità e diversità ma soprattutto  perché convenienza, meschinità ed egoismo hanno avuto il sopravvento su una visione alta della persona e della società e dunque della politica. A favorire questa mutazione  è stata una certa cultura edonistica che si è affermata anche nella nostra società e ha generato una classe politica arrivista e ingorda di potere, sesso e denaro. Diventa così sempre più rara negli uomini politici quella alta ispirazione ideale, non ideologica, che concepisce la politica stessa come un’opera di salvezza dell’uomo e del mondo, che vede uomini di buona volontà sperare, provare, soffrire e creare per realizzare un futuro diverso. Questa politica che tende verso l’alto non è una bella utopia perché non esclude elementi come la diversità, il contrasto e perfino la tensione che si inseriscono naturalmente in quella generale consapevolezza di sentirsi partecipi di una grande avventura umana in cui, scriveva Aldo Moro, “rispetto e riconoscimento emergono spontanei, mentre si lavora, ciascuno a proprio modo, ad escludere cose mediocri, per far posto a cose grandi”. Recuperare questo patrimonio valoriale è un impegno per i più giovani ma è anche un’occasione per rileggere la nostra attualità politica con in mano il ventilabro, quella antica pala contadina che può aiutarci a liberare il grano della buona politica dalla pula degli interessi e delle convenienze.

Adriano Frinchi

Ho cominciato ad appassionarmi alla politica a soli nove anni, quando mio zio (di estrema sinistra), si candidò per le elezioni comunali. Il risultato però fu la sua sconfitta. Per quasi un anno cominciai allora a disinteressarmi, poi però arrivò la svolta: nel mio Istituto scolastico si aderì al progetto “Coloriamo il nostro futuro”, progetto questo, che prevedeva l’elezione di un minisinbdaco, un sindaco cioè che si occupasse dei giovani. Alla prima occasione diedi la mia candidatura, vinsi le elezioni e divenni il secondo minisindaco del nostro Comune.

A dire il vero non fu questo l’evento a indurmi alla scelta di occuparmi di politica, bensì la cerimonia d’insediamento. Quello fu senz’altro un evento che mi cambiò la vita. Perchè prima di me parlarono diverse persone, tra cui l’allora Presidente del Consiglio comunale, Diego Lo Verde, oggi Segretario del Gippe e direttore nazionale Giovane Italia. Le sue parole mi colpirono moltissimo; riporto sotto il testo del suo discorso affinchè tutti possiate capire quanti giovani promettenti ci siano nel nostro Paese, indipendentemente dal loro colore politico:

<< […] è con immenso piacere che vi accolgo oggi presso l’aula consiliare del nostro Comune.

È un bel momento per la nostra comunità Pollinese, in quanto si da seguito ad un percorso che io definii già due anni fa virtuoso, di educazione civica o meglio di educazione alla democrazia.

Mai come in questo periodo storico del nostro paese un’iniziativa simile assume un ruolo di vitale importanza.

Il nostro, infatti, è un momento storico in cui si corre un grande rischio: che possa passare il messaggio che l’avversario politico è un nemico e in quanto tale va eliminato, che qualunque cosa l’avversario faccia o dica sia sbagliata a priori, esclusivamente per partito preso. Questa, cari amici, è la “democrazia dell’odio” che è storicamente il metodo dell’ideologia.

Iniziative come questa ci aiutano a comprendere coscienza dell’’importanza della democrazia e dell’esigenza impellente di una politica vista anche come strumento utile contro la violenza.

Il nostro dovere, quindi, è quello di promuovere al meglio questa iniziativa come esperienza educativa contro i violenti e contro l’ingiustizia.

Bisogna capire che la vera politica, quella fatta con spirito di sacrificio, quella fatta non “contro qualcuno, ma “a favore di qualcosa”, è l’unica risposta agli ideologismi sterili e di parte che piegano la ricerca della verità e del bene comune a  un interesse personale, al raggiungimento del potere con ogni mezzo e quindi anche con l’annientamento della libertà che in una democrazia non può essere in alcun modo messa in discussione.

La nostra democrazia è nata sessant’anni fa, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, e si fonda su valori e principi che sono scritti nel testo per noi più importanti: la Costituzione.

Questo testo deve essere fatto conoscere ai nostri ragazzi, perché possano amarlo, soprattutto coloro che proprio oggi si avvicinano alle istituzioni, ma non solo, tutti indistintamente dovremmo fare riferimento ai diritti, ai doveri, ai principi contenuti nella costituzione, in quanto rappresenta la nostra carta d’identità.

La scuola può fare molto per non disperdere questo patrimonio, traducendo quelle parole scritte su carta in sentimenti e passioni capaci di dare senso alla vita di ciascun cittadino.

La Costituzione, vedete, è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune. È la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi, della propria dignità d’uomo.

Molto spesso oggi, dimenticando i sacrifici dei nostri nonni per conquistare l’Italia che abbiamo oggi, si arriva spesso alla degenerazione della politica, perdendo persino al lucidità per capire ciò che è oggettivamente controproducente. Dovremmo tutti considerare la diversità di pensiero in un’ottica costruttiva, quella del confronto dialettico tra parti opposte ma accomunate dallo stesso obiettivo: il bene comune.

Cari amici, ragazzi, a tal proposito continuo con l’affermare che non esisterà mai un politico che possiede tutte le risposte alle problematiche, esiste al massimo che cerca di dare il suo contributo, essendo innanzitutto un cittadino a disposizione dei propri concittadini, senza dimenticare che il proprio mandato non è sinonimo di privilegi ma di servizio alla comunità.

Voi ragazzi dovrete essere portatori sani di un cambiamento che è fatto di piccole cose; in quest’ottica, capite bene, ognuno è chiamato a diventare responsabile di se stesso, protagonista della propria esistenza, capace di esprimere talenti, di realizzare un percorso umano e professionale, di contribuire attivamente alla costruzione del bene comune.

La scuola, cari ragazzi, ha il compito di accompagnarvi in questo cammino, dando ad ognuno di voi gli strumenti per compierlo con maggiore facilità.

CONCLUSIONE

Non associate quindi la politica ad un qualcosa negativo, nulla di più sbagliato! Non esiste la Politica “sporca” ma politici che la rendono tale.

Cari ragazzi, il percorso che oggi avete cominciato, porterà sicuramente qualcuno di voi ad appassionarsi alla cosa pubblica e, perché no, spingerà qualcuno di voi a sedere domani sui banchi di quest’aula. Spero che lo facciate, ma fatelo in maniera coscienziosa, con la consapevolezza che questa esperienza sarà di grande aiuto per la vostra crescita ma anche per chi con voi, concorrerà alla crescita della nostra comunità; prendete, quindi, questa esperienza in maniera seria ma mettendo sempre al primo posto lo studio.

Solo così, con un forte amore per la Democrazia che deve necessariamente congiungersi con l’efficienza, acquisita anche tra i banchi di scuola, il tutto potrà tradursi in un forte senso di responsabilità ed equilibrio, propri di un buon Amministratore.>>

Da quel momento iniziammo a sentirci più spesso, mi insegnò molte cose sul mondo della politica; l’unica cosa che non riuscì mai a trasmettermi fu quella di credere negli ideali del suo partito, il PDL. Feci una scelta usando solo ed esclusivamente la mia testa.

Scelsi l’UDC perchè credevo negli ideali portati avanti dal nostro leader Pier Ferdinando Casini: la famiglia, la religione, sostegno alle fasce deboli, lotta al bipolarismo. Un giorno Salvatore Gaglianello, persona che stimo moltissimo, mi disse: “Bravo Giuseppe, Casini sì che è una persona moderata e attenta ai problemi dei cittadini“. Oggi gli rispondo: “Bravo Totò, la moderazione in politica è molto importante, se non indispensabile. Oggi il bipolarismo vede la contrapposizione sterile dei gruppi di destra e di sinistra; serve una classe dirigente moderata che si occupi prima di tutto del bene comune“.

Nel 2008 l’UDC si alleò con Berlusconi; la scelta, dopo un pò di tempo, non convinse molto nè me nè il nostro leader Casini, ragion per cui dopo poco tempo lo lasciammo. Adesso si sta creando il Terzo Polo, cosa definita da tutti, e in modo particolare da Antonio Di Pietro, assolutamente inutile. A me invece l’idea del Terzo Polo piace, eccome. Perchè negli ultimi due anni Berlusconi è servito solamente a dar via libera all’occupazione di posti in Parlamento da parte degli uomini di Bossi, colui che io qualche settimana fa definii “fantapolitico” per le idee assolutamente errate che porta avanti. Dal lato opposto anche Bersani ha fatto lo stesso, favorendo però Antonio Di Pietro e in misura minore i “grillini”. Questo tipo di bipolarismo esisteva, per esempio, anche in Australia, dove, dopo le ultime elezioni, il bipolarismo è miseramente fallito. Questo a dimostrazione del fatto che serve un’area politica nuova, che non sia nè di destra nè di sinistra, ma moderata e, come ha più volte ripetuto il mio leader, “di responsabilità nazionale”. Occorre cioè formare una nuova classe dirigente che si occupi prima di tutto di risolvere i problemi degli italiani, non dell'”italiano”.

L’idea che il Terzo Polo non debba essere creato, almeno per adesso, ha contagiato anche esponenti interni al mio partito, tra cui un gruppo di siciliani, guidati dall’on.Romano. Questi portano avanti la convinzione che ci si debba alleare nuovamente con Berlusconi e votare il suo programma in cinque punti. Programma questo che, come ho ripetuto più volte ed in diverse occasioni, è incompleto e pieno di punti che più che all’Italia servono solamente a risolvere i guai giudiziari del premier.

Qualche giorno fa mi capitò di vedere un video su Youtube, il video della campagna elettorale dell’UDC, in cui si diceva che nell’UDC non c’è un solo leader, ma più persone valide che la possono anche pensare in maniera diversa. Questo, almeno secondo me, non significa che necessariamente si debbano creare spaccature interne al partito, che non fanno che favorire i nostri più diretti avversari.

A Casini ed all’onorevole Romano  dico che dovrebbero smetterla di litigare, ma piuttosto sedersi ad un tavolo, tutti insieme, e discutere sulla linea da prendere di comune accordo, come in una famiglia. Già, come una famiglia, perchè se c’è un un altro motivo per cui ho scelto l’UDC è che da quando sono entrato a far parte di diversi progetti promossi dal partito, mi sono sentito parte di una grande famiglia, dove tutti portano avanti gli stessi valori, ma dove ci sarebbe stato sicuramente qualcuno che la pensa in maniera diversa, ma sapevo anche che avrei avuto l’opportunità di confrontarmi con loro e capire quale fosse la scelta giusta da fare.

Nell’inno del partito ricordo in maniera particolare una frase: “Se restiamo uniti noi avanzeremo di più”.. Benissimo, restiamo uniti e cominciamo ad avanzare verso una fase politica nuova.

Quello che desidero in questo momento è un partito UNITO, che dia una svolta alla politica italiana, che si occupi seriamente dei problemi dei cittdaini, soprattutto che lotti NON CONTRO QUALCUNO, MA A FAVORE DI QUALCOSA, QUINDI A FAVORE DEL BENE COMUNE. “Pace e Libertà e il nostro sogno già diventa realtà; un futuro migliore e batte forte il cuore e nasce un grande amore Lo Scudo della nostra Libertà”

Giuseppe Scialabba, un giovane quattordicenne che desidera, come credo tutti i giovani politici italiani, una fase politica nuova, che cambi l’Italia, il Paese dove sono nato e che amo…

Si è spezzata ma si è sempre rialzata, così, unita dal 1861 dalle Alpi a Lampedusa, è stata derisa e sfruttata… Ecco la storia della nostra cara Italia. Ci preperiamo a “festeggiare” i 150 anni di un’ unione che viene ora, più che mai compromessa da un partito che va forte solo in alcune regioni del Nord, eppure, si sta dimostrando un “cancro” per l’unificazione nazionale. Ne abbiamo visto di cotte e di crude da parte degli uomini dai fazzoletti verdi, li abbiamo visti all’ Europarlamento al grido di: Italia, Italia Vaffanculo, li abbiamo sopportati quando i locali pubblici che portavano i nomi di eroi meridionali come Peppino Impastato, venivano mutati con nomi di “uomini Padani”. Noi Siciliani ci siamo anche sentiti dire da parte della portavoce leghista nelle Isole Pelage A.Maraventano che, Lampedusa doveva passare dalla provincia di Agrigento a quella di Brescia… Beh, le stramberie da parte della lega non terminano davvero mai.
Con il passare del tempo un partito che si faceva sentire solo per la difesa della cultura padana, (e dell’ omonimo stato fantoccio), con questo Governo ha preso peso, divenendo un Partito di Governo, dunque il forte paradosso di ritrovarsi al parlamento europeo uomini che rappresentato la Rep. Italica ma sputano sulla bandiera, e suggeriscono ai padani di usarla come “carta igienica”. Uomini che hanno reso il nord Italia alla vista dei cittadini della comunità europea, un nord: xenofobo, razzista, omofobo. Dove è finito lo spirito di quell’ Italia fatta di caldi venti Mediterranei, di quei sapori, di quei borghi a Picco sul mare, di quelle immense distese di grano degli entroterra?! Oggi la Lega ci rappresenta, è sta lacerando lo spirito del nostro stivale. Portando avanti entità celtiche, e origini inesistenti…
Ed è propio in questi giorni che, il Consiglio dei ministri, che ha visto approvare il decreto Roma Capitale, (con chiaro esito positivo), ed il leader della Lega commenta che “Ora ci vuole la capitale del nord”. Ma gli uomini di questo governo Berlusconiano non sono di meno!!! Sembrano si stiano rimbambendo o qualcosa simile, il sindaco di Roma Alemanno sembra quasi prendere con ironia una cosi offensiva proposta… E quasi come se nulla fosse, al parlamento non si accenna nemmeno di questa ”proposta leghista” che offende chi, nell’ entità italica che affonda le sue antiche radici in ROMA MAGNA si rispecchia.

 

riceviamo e pubblichiamo di Giovanni Castellana

Venticinque anni fa dei magistrati napoletani scrivevano la pagina più nera della giustizia italiana, il 17 settembre 1985 Enzo Tortora dopo ben sette mesi di detenzione veniva ingiustamente condannato a 10 anni. Soltanto dopo un anno e dopo un’infinità di umiliazioni la Corte d’Appello di Napoli assolveva con formula piena il celebre conduttore di Portobello e iniziava un processo per calunnia per tutti quei pentiti che per svariati motivi si erano accaniti contro il povero Tortora. Sono passati venticinque anni ed Enzo Tortora sfinito dal suo calvario giudiziario e da un tumore si è spento nel 1988, i giudici che si accanirono contro Tortora non sono stati oggetto nemmeno di una indagine o di un procedimento disciplinare, anzi hanno continuato tranquillamente le loro carriere, e Gianni Melluso, uno dei pentiti che accusò Tortora, è tornato in libertà nel 2009 e ha chiesto perdono ai familiari di Tortora. Sono passati venticinque anni e nonostante tante altre vittime della malagiustizia e il “referendum Tortora”  del 1987  nessuna seria riforma della giustizia italiana è stata messa in cantiere. Oggi il centrodestra al governo, che in passato era stato uno dei paladini per la battaglia sulla giustizia giusta, è impantanato nella polemica politica per alcuni provvedimenti che sembrano più che altro mirati a liberare il Premier dai suoi guai giudiziari e il dibattito politico verte unicamente intorno a questi temi con l’unica lodevole e scontata eccezione dei radicali che custodi della memoria del caso Tortora hanno presentato una mozione parlamentare chiaramente passata sotto silenzio. Sì perché c’è anche il silenzio della stampa e delle tv che si indignano e fanno le barricate contro il ddl sulle intercettazioni ma non sono capaci di condurre una campagna per la giustizia giusta, forse perché la giustizia giusta non fa vendere tante copie e non alza gli indici di ascolto televisivi come le gogne mediatiche, le manette sotto i riflettori e i tabulati delle intercettazioni sbattuti in prima pagina.  Enzo Tortora alla fine della sua odissea giudiziaria tornando alla conduzione del suo Portobello disse: “io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi. Sarò qui, resterò qui, anche per loro”. Venticinque anni dopo la voce di Tortora, e di quelli come lui, è una voce inascoltata che continua a chiedere a chiedere la responsabilità civile dei magistrati, la separazione della carriere, un sistema che vagli la professionalità dei magistrati, l’incompatibilità tra permanenza nell’ordine giudiziario e incarichi elettivi e non, la modernizzazione tecnologica degli uffici giudiziari, la semplificazione delle modalità di notifica degli atti giudiziari, un adeguamento degli organici del personale e tempi standard dei procedimenti civili e penali. Chi avrà il coraggio e la responsabilità di rispondere ad Enzo Tortora?

Adriano Frinchi

COMUNICATO STAMPA
 
“NASCE LA RETE DEI COMITATI NOTRIV SICILIANI CONTRO LE TRIVELLAZIONI GAS-PETROLIFERE IN SICILIA” 
Domenica 19 settembre 2010  a Scicli primo appuntamento di coordinamento 
Si è ufficialmente costituita LA RETE DEI COMITATI NOTRIV SICILIANI, che comprende gruppi organizzati nelle città di Marsala, Sciacca, Menfi, Castelvetrano, che si estende fino ai comuni dell’area sud orientale della Sicilia tra cui Noto, Scicli, Caltagirone, Vittoria, Modica, ecc.
 Si tratta di un’iniziativa di grande importanza, che sottolinea l’impegno e l’attenzione con cui tanti cittadini ed organizzazioni stanno seguendo la questione delle trivellazioni gas-petrolifere nel Canale di Sicilia e nella terra ferma della Sicilia, dopo il boom di autorizzazioni concesse nei mesi scorsi dal Ministero per le Attività Produttive (off-shore) e dall’Assessorato all’Industria della  Regione Siciliana ( on-shore) .
Nonostante la formale opposizione di vari esponenti politici del territorio si ritiene infatti che occorra una costante opera di vigilanza da parte dei “Comitati No Triv” , in modo da  contrastare la politica del Ministero per l’Ambiente e dello Sviluppo Economico e dell’Industria così come dell’Assessorato all’Industria della Regione Siciliana, che continuano ad elargire Permessi di Ricerca e Concessioni a tante nuove Compagnie Petrolifere, incuranti della vocazione della Regione Sicilia nei nuovi scenari internazionali quale polo di attrazione turistico-culturale e terra di produzioni agro-alimentari d’eccellenza. La situazione è allarmante poichè  al di là delle dichiarazioni rassicuranti del Ministro Prestigiacomo o dei Politici Regionali e di alcuni esponenti della maggioranza di governo, nelle settimane trascorse la senatrice siciliana Simona Vicari, componente della commissione industria di Palazzo Madama, affiancata dal presidente di Commissione Cesare Cursi, dal capogruppo Maurizio Gasparri e dal vice Gaetano Quagliariello, ha presentato un disegno di legge che intende riformare la legislazione in materia di ricerca e produzione di idrocarburi, introducendo – tra le altre cose – procedure meno complesse per il rilascio delle autorizzazioni. 
Una proposta che, come sottolinea il giornalista Federico Rentina sul Sole 24 Ore,  appare difficilmente conciliabile con la nuova norma del Codice ambientale, “che prevede una drastica stretta ai nuovi permessi per le esplorazioni e addirittura un divieto perfino alle indagini prospettiche entro 5 miglia dalla costa”.  Alla luce delle suddette considerazioni e della gravità della situazione della Sicilia che continua ad attirare Petrolieri da ogni dove, anche per la sua legge regionale del 2003 molto favorevole a loro,  è nata l’esigenza di costituire la Rete dei Comitati NOTRIV Siciliani, che  intende avviare una propria campagna per la salvaguardia del Canale di Sicilia e del Territorio Siciliano tutto e si dichiara pronta a preparare nuove iniziative per le prossime settimane in diversi centri del territorio siciliano.  16 settembre 2010                                     COMITATI NOTRIV