Udc

C’è stato un momento del Laboratorio a Chianciano, in cui si è respirato, a pieni polmoni, il famoso “profumo della libertà”. È stato il momento in cui mi sono ricordato perché ho scelto proprio questo “piccolo” partito e non uno più grande, in cui avrei avuto magari più occasioni. È stato il momento in cui, dalla platea del Pala Montepaschi, si è sollevata una “flotta di fischi” (per dirla con Germano) per rispondere alla improponibili avances del premier Berlusconi. Del resto, alla frase “centristi con me anche senza il loro leader”, come si sarebbe potuto rispondere, se non con un boato profondo, spontaneo e naturale da parte di un “popolo” (vero e non di plastica) che ne ha fin sopra i capelli di essere tacciato di opportunismo, quando è stato il solo ad aver avuto il coraggio di affrontare le varie competizioni elettorali contando esclusivamente sulle proprie forze? Non se ne può proprio più. È dal 2008, che non passa giorno senza sentire di “fantomatiche” nostre rentrée nel Governo: e ora che finalmente la nostra volontà di rimanere all’opposizione fino alla fine della legislatura, ecco che sui giornali si sprecano le ipotesi di scissioni varie all’interno del nostro partito, pare tutte pronte a confluire in un qualche indeterminato “gruppo di responsabilità nazionale”. Ma voi, amici miei, vi riconoscereste mai nel ruolo di stampella a questo governo, in cambio di qualche poltrona (più che altro uno sgabellino)? La risposta è scontata: il nostro NO è deciso, forte; eppure deve essere ribadito ogni giorno, in modo ossessivo, perché, se anche non lo dovessimo ripetere per un solo giorno, ecco decine di sapienti tuttologi pronti a fantasticare sul nostro “prossimo” ingresso al governo.

Guardate, facciamo un piccolo gioco. Immaginate di essere un pluridecorato politologo (uno di quelli che preferiscono contribuire al dibattito politico con proposte serie e concrete, anziché dimostrare le proprie ‘qualità’ giocando alla Fanta-Politica) e di dover scrivere un pezzo sulla tre giorni di Chianciano. Su cosa lo scrivereste? Probabilmente proprio sul fatto che, dal semplice militante al un pezzo grosso, nessuno ha intenzione di supportare un governo già morto. E segnalereste, magari, proprio i fischi indirizzati al Premier che si sono sollevati domenica durante l’intervento conclusivo di Casini. Questo se foste gente seria. E invece, cari amici miei, ci sono personaggi che, in barba all’obiettività del giornalismo, preferiscono dare alla gente qualcosa di molto più comodo: il gossip fantapolitico. Ecco perché poi, sui vari mass-media, riecheggiano sempre le solite domande: “Quanti ministeri vorranno questi dell’Udc?” (uno, due o magari tre?). “Macché, vogliono la presidenza della Camera!” (sì, e pure quella del Senato, grazie); “No, no: vogliono avere queste presidenze di regioni” (e qui parte un interminabile elenco). “Tizio, Caio e Sempronio pronti ad uscire e a raggiungere il premier anche subito” (questo ‘subito’ che dura da due anni, poi, mi ricorda tanto il Paradosso di Zenone). “E Giuda chi sarà mai? Si accontenterà di trenta denari anche stavolta?” (mah, i trenta denari non vanno più di moda, meglio un attico con vista Colosseo). “E Casini, lui cosa vuole? Fare il Presidente del Consiglio. Con il Pd o con il Pdl?” (questa non la commento neppure).

C’è chi li chiama pregiudizi. Io la preferisco chiamare “ignoranza”. Peggio per quelli che si rifiutano, ostinatamente, di respirare il “profumo della libertà”. La nostra: che non svenderemo mai.

GIUSEPPE PORTONERA

Cari lettori, ma voi lo sapete cos’è “La Padania”? No, non mi riferisco alla mitica Eldorado del Nord, esistente sin dai primordi della storia e dell’umanità. Stavo parlando del giornale ufficiale della Lega Nord, la “Voce del Nord”, già organo di riferimento per il “Nord unito”, il “Nord mitteleuropeo” (direttori colti, eh?), e addirittura per la “Mitteleuropea” (tutta intera, evidentemente, dalla Padania all’Ungheria, passando per Germania e Polonia). È un giornale che spara a zero contro “Roma Ladrona” e contro il Sud sprecone, ma che poi non disdegna il finanziamento annuale statale di oltre 4 milioni di euro. È un giornale che vanta come direttore politico Umberto Bossi, già reo confesso al processo Enimont, già condannato per vilipendio dello Stato e noto estimatore delle proprietà della carta igienica “Tricolore”. È un giornale piccolino (vende in media 22 mila copie), ma sa sempre come farsi sentire (in osservanza alla legge del “chi ce l’ha più duro vince”). Tutto ciò è relativo, però. Perché “La Padania” è forse uno dei pochi giornali a poter vantarsi di aver anticipato uno dei cavalli di battagli più famosi de “La Repubblica”. Come? È l’8 luglio 1998 e la Lega Nord ha rotto da tempo i ponti con il Polo delle Libertà e con il suo leader Silvio Berlusconi. Per questo, l’allora direttore Max Parisi, fa del suo giornale, “La Padania” per l’appunto, il primo al mondo a tuonare, contro “Berlusconi mafioso”, pubblicando in prima pagina diverse foto di big dei Cosa Nostra (Riina, Brusca, Badalamenti, Calò), in compagnia proprio del leader di Forza Italia e del suo braccio destro, Marcello Dell’Utri, numerosi documenti e le dieci domande indirizzate al premier! Sì, proprio le famose e ormai celeberrime “dieci domande”. Domande che vale davvero la pena di rileggere, documentate a dovere, un vero e proprio esempio di giornalismo coraggioso. Max Parisi, poi, concludeva il suo articolo, lanciando un appello a Berlusconi: “Poiché c’è chi l’accusa che quell’oceano di quattrini provenne dalle casse di Cosa Nostra e sta indagando proprio su questo, prego, schianti ogni possibile infamia dicendo semplicemente la verità. Punto per punto, nome per nome. È un’occasione d’oro per farla finita una volta per tutte. Sappia che d’ora in poi il silenzio non le è più consentito né come imprenditore, né come politico, né come uomo.” Dopo 12 anni, immagino, “La Padania”, (che nel frattempo collezionò una serie di querele) starà aspettando una risposta. E invece no. Perché si direbbe che invece lì dalle parti di Pontida abbiano cambiato idea: prendete in mano una qualsiasi copia del giornale è leggere che Berlusconi non è più “in combutta con la Mafia”, ma è il “salvatore del Nord”, boicottato (dicono loro: sì, sempre gli stessi) dagli affaristi del Sud (che rispondono ai vari nomi di Casini, Fini, PD e compagnia bella) e dalla magistratura militante. Smemorati? Sbadati? Rassegnati? Oh, no. Gli smemorati de “La Padania” la loro risposta l’hanno trovata. E sapete dove? Nel traffico delle banche, delle quote latte e nella lottizzazione dei vari enti pubblici organizzato dal proprio partito di riferimento. Perché se Roma è e resterà sempre “ladrona”, chi vieta alla Padania (la terra, si intende) di sedersi al tavolo dei commensali e di tenere per sé la fetta migliore di tutto? Come Berlusconi sia riuscito ad accumulare il suo patrimonio non può avere più nessuna importanza, visto che, ora come ora, sono super-impegnati ad accumulare il loro, di patrimonio.

E allora al diavolo le dieci domande a Berlusconi. È la Padania, bellezza.

GIUSEPPE PORTONERA

Il 19 agosto di 56 anni fa, Alcide De Gasperi, storico leader e fondatore della Democrazia Cristiana e grande statista della nostra storia, moriva improvvisamente, soltanto un anno dopo le sue dimissioni da Presidente del Consiglio. Fu una morte improvvisa che commosse tutta l’Italia: le cronache del tempo, infatti, ci raccontano che il lungo tragitto in treno con cui la salma raggiunse Roma per le esequie di Stato, fu rallentato da numerose soste impreviste perché le masse erano accorse da ogni parte per rendere omaggio alla salma dell’uomo che ebbe la forza e le capacità necessarie per risollevare l’Italia dallo stato in cui era stata precipitata dalla seconda guerra mondiale. L’eredità di De Gasperi è senza dubbio una delle più ricche e proficue della nostra storia, al pari di quelle lasciateci da Don Luigi Sturzo, da Luigi Einaudi, da Benedetto Croce o dagli altri grandi padri della patria. Proprio su quell’eredità si sono formate intere generazioni di amministratori e governanti e oggi, seppur con minore entusiasmo, continuano a far presa su numerosi esponenti politici. Personalmente mi sono sempre considerato un “degasperiano”, nel senso più autentico e vero del termine: le sue massime sono la sintesi perfetta di come intendo il servizio politico. Tanto per fare degli esempi: il 23 aprile 1949, in un discorso a Milano, De Gasperi disse: “Politica vuol dire realizzare”; dalla prigione, il 6 agosto 1927, scriveva: “ci sono molti che nella politica fanno solo una piccola escursione, come dilettanti, ed altri che la considerano e tale è per loro, come un accessorio di secondarissima importanza. Ma per me, fin da ragazzo, era la mia carriera, la mia missione”. Magari la pensassero tutti così!

Ed è proprio sotto questo luminoso segno che oggi prende avvio il cammino del Partito della Nazione: a Otranto, infatti, il presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione, alla presenza delle alte cariche del partito consegnerà a Pier Ferdinando Casini la prima tessera del futuro Partito. Oggi più che mai, infatti, il degasperismo può essere una soluzione efficace per risanare la politica di questi ultimi tempi, famosa più per le urla che per il dialogo, più per i veleni che per il rispetto, più per i dossier che per le proposte concrete. Sono andato a rileggermi, per l’occasione, un opuscolo che De Gasperi scrisse nel 1943: “Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”. Nell’opuscolo veniva efficacemente sintetizzata la visione di uno Stato postfascista e democratico, capace di inserire le grandi masse popolari nella vita politica del paese e questo nei consessi internazionali. Tra l’altro si afferma la necessità: dell’istituzione di una “una Corte Suprema di garanzia dovrà tutelare lo spirito e la lettera della Costituzione, difendendola dagli abusi dei pubblici poteri e dagli attentati dei Partiti” (quanto aveva saputo guardare lontano); della “costituzione delle Regioni come enti autonomi” perché “nell’ambito dell’autonomia regionale troveranno adeguata soluzione i problemi specifici del Mezzogiorno e delle Isole”; di un piano di riforme nell’industria, nell’agricoltura e nel regime tributario; di incoraggiare il processo di integrazione europea la solidarietà occidentale. Il degasperismo, infatti, ci indica oggi l’obbligo morale e politico di un ritorno ai valori della Costituzione (quella vera e non quella fantomatica che risponde al nome di “costituzione materiale”), cioè a un modello di stato in cui la separazione e il contro-bilanciamento dei vari poteri ridiventi l’asse portante del funzionamento Stato stesso. Ci ricorda poi la necessità di un rilancio della funzione politica dell’Europa, di un Europa che possa diventare una potenza politica ed economica capace di confrontarsi ad armi pari con Cina e USA, nel contesto sempre più irreversibile della globalizzazione. Ci mostra come sia indispensabile riprendere la via maestra del cattolicesimo liberale, della sintesi efficace cioè tra i principi del cristianesimo democratico e del liberalismo. E ci riporta alla concezione più autentica del “centrismo”.

Proprio su questo punto vorrei spendere due parole in più. L’Italia ha conosciuto, proprio con Alcide De Gasperi, una serie di governi schiettamente “centristi” e grazie a quei governi è riuscita a risollevarsi dal disastro del dopo-guerra. Ma oggi cos’è il Centro? Il centrismo di oggi si presenta in tempi e modalità certamente diverse da quello che abbiamo conosciuto finora, ma ha una continuità di ispirazione ideale che fa sì che la componente storica del popolarismo e del cattolicesimo democratico possa confluire una prospettiva più ampia: parlare oggi, dunque, di centrismo significa confrontarsi con le grandi novità dell’integrazione europea, della globalizzazione e di una sintesi possibile tra economia sociale e mercato mondiale liberale. E proprio seguendo gli insegnamenti di De Gasperi oggi possiamo affermare di voler costruire un partito nazionale e, insieme, un partito delle autonomie, fondate sulla sussidiarietà che esprime, proprio attraverso una selezione vera sul territorio, un gruppo dirigente in grado di catturare una forte attenzione nell’opinione pubblica. Un partito con un nucleo centrale snello e più impegnato nell’elaborazione politica che non nel controllo verticistico delle sue emanazioni locali. Un partito forte al centro e radicato in periferia. Un partito sempre attento alla dimensione sociale. Un partito flessibile, capace di appassionare i giovani per la sua generosità ideale e non di respingerli per la sue chiusure burocratiche. Un partito con un forte e riconosciuto leader, non un partito del leader. Un partito di servizio, non un partito padronale. Un partito liberale ma non elitario. Un partito non confessionale, ma dotato di un’ispirazione cristiana. Un partito laico che si batta contro ogni intolleranza o eccesso di laicismo.

Questo è il Partito Nuovo che voglio. Sotto il segno di Alcide.

GIUSEPPE PORTONERA

Dopo la rottura definitiva tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi, si prospetta il rischio delle elezioni anticipate. Il premier ha ancora la maggioranza, ma si tratta di una maggioranza piuttosto sterile e poco stabile. Per questo motivo, il Cav preferirebbe andare alle urne adesso, e ottenere una sicura vittoria, piuttosto che formare un governo tecnico. Il governo tecnico è un rischio molto grosso, perchè si tratta, come ha ricordato Bossi giovedì, di una di quelle cose che con la democrazia non ci devono essere. Perchè, continua il Senatur, governo tecnico significa fare un governo per togliere tutte le leggi che non gli piacciono. Per questo si va alle elezioni.

Il problema adesso è un altro: quando? Si era prospettato che si potesse andare alle urne già a novembre, ma il Cav ha detto che preferirebbe se si tenessero a marzo, e precisamente giorno 27, data in cui ottenne la vittoria nel lontano 1994. Le strade principali che porterebbero al voto anticipato sarebbero due: l’apertura di una crisi di governo dopo un voto di sfiducia; oppure tramite le dimissioni dello stesso Berlusconi, che potrebbero anche non essere accettate dal Capo dello Stato se questi constaterà che il premier possiede ancora la maggioranza. E, almeno fino ad oggi, la maggioranza la possiede.

Potrebbe sembrare tutto molto facile, ma non è così. Perchè negli ultimi mesi, secondo sondaggi molto attendibili, la Lega Nord sta conquistandosi sempre di più la fiducia degli elettori al Nord, il che renderebbe ancora più critica la situazione del PDL, che al Nord è da tempo in forte calo di preferenze. Tuttavia, anche a questo problema vi è una soluzione: Berlusconi pensa di affondare, in maniera definitiva, l’ex alleato Gianfranco Fini. Come? Prima con la vicenda della casa di Montecarlo, che si fa sempre più intricata e misteriosa; e, se non con questa, con altre imbarazzanti rivelazioni, che dovrebbero venir fuori da un momento all’altro. A questo punto, il Cavaliere conta di poter portare con sè una quindicina di finiani, e addirittura potrebbe sottrarre l’intero gruppo formatosi al Senato, attualmente guidato da Mario Baldassarri. E inoltre potrebbe far rientrare altri 4-5 deputati.

E l’UDC? Si era prospettata un’alleanza con Fini, Rutelli e Lombardo. Esattamente, “si era”, perchè l’intesa è già morta prima di nascere. Nessun dubbio: Casini non si alleerà con Futuro e Libertà; al contrario l’alleanza con l’API è quasi certa: si va verso il Partito della Nazione. E da quale parte si schiererà Casini? Probabilmente, se Berlusconi dovesse avere la meglio, si collocherà all’opposizione. Magari condividendo alcune scelte, come si è fatto a volte, oppure semplicemente si asterrà dal voto, ma non metterà sicuramente i bastoni tra le ruote al premier.

E allora buona fortuna a Casini e all’UDC, o magari al Partito della Nazione, per le prossime elezioni, sperando nella candidatura del nostro leader, appoggiato dai partiti di centrosinistra (come già accaduto durante le legislature targate Giulio Andreotti), escludendo l’Idv, oppure semplicemente formando un nuovo centro e continuare ad andare avanti da soli, per dar vita a quel governo di responsabilità nazionale che attendiamo da mesi. Aspettando eventuali elezioni anticipate, cominciamo a mobilitarci sul territorio…

Giuseppe Scialabba