Il 19 agosto di 56 anni fa, Alcide De Gasperi, storico leader e fondatore della Democrazia Cristiana e grande statista della nostra storia, moriva improvvisamente, soltanto un anno dopo le sue dimissioni da Presidente del Consiglio. Fu una morte improvvisa che commosse tutta l’Italia: le cronache del tempo, infatti, ci raccontano che il lungo tragitto in treno con cui la salma raggiunse Roma per le esequie di Stato, fu rallentato da numerose soste impreviste perché le masse erano accorse da ogni parte per rendere omaggio alla salma dell’uomo che ebbe la forza e le capacità necessarie per risollevare l’Italia dallo stato in cui era stata precipitata dalla seconda guerra mondiale. L’eredità di De Gasperi è senza dubbio una delle più ricche e proficue della nostra storia, al pari di quelle lasciateci da Don Luigi Sturzo, da Luigi Einaudi, da Benedetto Croce o dagli altri grandi padri della patria. Proprio su quell’eredità si sono formate intere generazioni di amministratori e governanti e oggi, seppur con minore entusiasmo, continuano a far presa su numerosi esponenti politici. Personalmente mi sono sempre considerato un “degasperiano”, nel senso più autentico e vero del termine: le sue massime sono la sintesi perfetta di come intendo il servizio politico. Tanto per fare degli esempi: il 23 aprile 1949, in un discorso a Milano, De Gasperi disse: “Politica vuol dire realizzare”; dalla prigione, il 6 agosto 1927, scriveva: “ci sono molti che nella politica fanno solo una piccola escursione, come dilettanti, ed altri che la considerano e tale è per loro, come un accessorio di secondarissima importanza. Ma per me, fin da ragazzo, era la mia carriera, la mia missione”. Magari la pensassero tutti così!

Ed è proprio sotto questo luminoso segno che oggi prende avvio il cammino del Partito della Nazione: a Otranto, infatti, il presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione, alla presenza delle alte cariche del partito consegnerà a Pier Ferdinando Casini la prima tessera del futuro Partito. Oggi più che mai, infatti, il degasperismo può essere una soluzione efficace per risanare la politica di questi ultimi tempi, famosa più per le urla che per il dialogo, più per i veleni che per il rispetto, più per i dossier che per le proposte concrete. Sono andato a rileggermi, per l’occasione, un opuscolo che De Gasperi scrisse nel 1943: “Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”. Nell’opuscolo veniva efficacemente sintetizzata la visione di uno Stato postfascista e democratico, capace di inserire le grandi masse popolari nella vita politica del paese e questo nei consessi internazionali. Tra l’altro si afferma la necessità: dell’istituzione di una “una Corte Suprema di garanzia dovrà tutelare lo spirito e la lettera della Costituzione, difendendola dagli abusi dei pubblici poteri e dagli attentati dei Partiti” (quanto aveva saputo guardare lontano); della “costituzione delle Regioni come enti autonomi” perché “nell’ambito dell’autonomia regionale troveranno adeguata soluzione i problemi specifici del Mezzogiorno e delle Isole”; di un piano di riforme nell’industria, nell’agricoltura e nel regime tributario; di incoraggiare il processo di integrazione europea la solidarietà occidentale. Il degasperismo, infatti, ci indica oggi l’obbligo morale e politico di un ritorno ai valori della Costituzione (quella vera e non quella fantomatica che risponde al nome di “costituzione materiale”), cioè a un modello di stato in cui la separazione e il contro-bilanciamento dei vari poteri ridiventi l’asse portante del funzionamento Stato stesso. Ci ricorda poi la necessità di un rilancio della funzione politica dell’Europa, di un Europa che possa diventare una potenza politica ed economica capace di confrontarsi ad armi pari con Cina e USA, nel contesto sempre più irreversibile della globalizzazione. Ci mostra come sia indispensabile riprendere la via maestra del cattolicesimo liberale, della sintesi efficace cioè tra i principi del cristianesimo democratico e del liberalismo. E ci riporta alla concezione più autentica del “centrismo”.

Proprio su questo punto vorrei spendere due parole in più. L’Italia ha conosciuto, proprio con Alcide De Gasperi, una serie di governi schiettamente “centristi” e grazie a quei governi è riuscita a risollevarsi dal disastro del dopo-guerra. Ma oggi cos’è il Centro? Il centrismo di oggi si presenta in tempi e modalità certamente diverse da quello che abbiamo conosciuto finora, ma ha una continuità di ispirazione ideale che fa sì che la componente storica del popolarismo e del cattolicesimo democratico possa confluire una prospettiva più ampia: parlare oggi, dunque, di centrismo significa confrontarsi con le grandi novità dell’integrazione europea, della globalizzazione e di una sintesi possibile tra economia sociale e mercato mondiale liberale. E proprio seguendo gli insegnamenti di De Gasperi oggi possiamo affermare di voler costruire un partito nazionale e, insieme, un partito delle autonomie, fondate sulla sussidiarietà che esprime, proprio attraverso una selezione vera sul territorio, un gruppo dirigente in grado di catturare una forte attenzione nell’opinione pubblica. Un partito con un nucleo centrale snello e più impegnato nell’elaborazione politica che non nel controllo verticistico delle sue emanazioni locali. Un partito forte al centro e radicato in periferia. Un partito sempre attento alla dimensione sociale. Un partito flessibile, capace di appassionare i giovani per la sua generosità ideale e non di respingerli per la sue chiusure burocratiche. Un partito con un forte e riconosciuto leader, non un partito del leader. Un partito di servizio, non un partito padronale. Un partito liberale ma non elitario. Un partito non confessionale, ma dotato di un’ispirazione cristiana. Un partito laico che si batta contro ogni intolleranza o eccesso di laicismo.

Questo è il Partito Nuovo che voglio. Sotto il segno di Alcide.

GIUSEPPE PORTONERA

Il Partito della Nazione, la grande alleanza tra tutti i moderati di diversa storia ed estrazione culturale, non è più il sogno di un ristretto gruppo di persone o una passeggera infatuazione politica di alcuni intellettuali o giornali terzisti. Con il Fronte moderato parlamentare tra Udc, Api, Fli e Mpa, tutto questo è realtà. Forse non ancora pienamente, ma state tranquilli che si tratta ormai dell’inizio di un cammino che si compirà con la nascita di un soggetto politico finalmente nuovo. Sempre più politici si sono resi conto che il “bipolarismo forzoso e muscolare”, che tanto ha segnato questi quindici anni, è un sistema in fallimento (oggi è stata la volta di Beppe Pisanu e Gabriele Albertini): certo, molti di loro sono in ritardo, visto che il Polo dell’Astensione sarebbe dovuto già essere un segnale molto eloquente; non per niente, Pierferdinando Casini ha sottolineato nel suo intervento alla Camera, che “eravamo soli alle elezioni. Oggi, la compagnia è più folta!”. Ovviamente, però, il rischio concreto che questa “cosa nuova” possa nascere già vecchia è forte: ciò che bisogna in assoluto evitare, è che il Centro diventi (come è già nell’immaginazione di molti) una grande palude, un luogo in cui grandi spiriti, passioni e ideali sono destinati ad affievolirsi per lasciar posto all’incontro delle grandi oligarchie e burocrazie del Paese; dove invece di uomini liberi e forti, si debba fare la conoscenza di affaristi e tecnocrati della politica; dove, insomma, invece che al bene del Paese, si pensi al bene dei propri intrallazzi.

Per questo il nuovo Partito deve essere in grado di ascoltare, di recepire i consigli e le migliori energie disponibili. Perché, non dimentichiamolo mai, il nostro è sempre stato un percorso che è partito dal basso, per cercare di far arrivare in alto le nostre proposte: trasparenza, partecipazione e collaborazione devono essere le colonne portanti di un partito che vive nell’oggi e guarda al domani. E senza ombra di dubbio, la condizione principale perché questo accada, è saper ascoltare. In modo attivo, vero, concreto. Saper ascoltare è la qualità fondamentale che distingue un politico serio da uno scadente, in quanto significa aprirsi ai cittadini in modo radicale, senza schermi o sotterfugi. Una pratica salutare purtroppo dimenticata, perché parlare e promettere è molto più facile che ascoltare e confrontarsi. Chissà come mai poi sempre più cittadini scelgono di astenersi e delegittimare quindi l’attuale classe dirigente. Ecco perché l’Unione di Centro, insieme all’Osservatorio Politico di Lorien, ha attivato dei canali veramente nuovi di coinvolgimento basati principalmente sull’ascolto, non con gli strumenti del passato, ma con quelli della contemporaneità e del futuro. All’indirizzo http://lorientando.lorienconsulting.it/default.aspx, infatti, troverete un questionario da compilare, aperto a militanti, quadri, dirigenti, cittadini tutti. Mi raccomando: partecipate numerosi! Noi crediamo veramente a una rivoluzione del modo di fare politica, che riporti la Politica al centro della scena, che sia una condizione che permetta a entrambe le parti (politici e cittadini) di uscire vincenti. Una Politica al vostro servizio. Affinché l’area di responsabilità che è nata in Parlamento, possa allargarsi nel Paese: qui, infatti, non si lavora a una mera manovra di palazzo, ma al più grande elemento del futuro (Casini dixit), che lavori per difendere le istituzioni democratiche fino in fondo, a partire dall’autonomia della Magistratura; che si adoperi per ricucire il Paese, anziché dividerlo; che ridia ai cittadini il diritto di scegliere direttamente i propri rappresentanti (con il ritorno al proporzionale e al voto di preferenza); che possa, attraverso un’opera capillare, concretizzare il sogno di una vera “rivoluzione liberale”, eliminando sprechi eccessivi, enti inutili e burocrazie superflue.

Perché, però, questo possa accadere, c’è bisogno di voi e del vostro sostegno. Per questo vi chiediamo di compilare il questionario, di dire la vostra sulle priorità del nuovo partito: per tornare ad essere protagonisti. Per voi, per noi, per il nostro Futuro.

IL LINK DEL QUESTIONARIO

GIUSEPPE PORTONERA

Dal lontano 1994, da quando si consolidò il bipolarismo all’italiana, l’idea o meglio il sogno di un terzo polo ha solleticato le fantasie di alcuni mentre altri ancora hanno tentato l’avventura terzo polista con risultati molto spesso grami. In principio furono Segni e Martinazzoli che furono spinti in terza posizione dall’irruzione sulla scena politica del Cavaliere e che finirono stritolati, almeno nei collegi uninominali, dal polo berlusconiano e dalla gioiosa macchina da guerra di Occhetto; poi fu la volta di Cossiga che con la sua Udr riuscì a portare D’Alema a Palazzo Chigi, ma gli  “straccioni di Valmy”  si rivelarono forse troppo straccioni anche per l’ex presidente picconatore che decise di far morire la sua creature prima della fine della legislatura e poi ancora D’Antoni con Democrazia Europea e Follini con l’Italia di Mezzo. Ci sono anche stati i tentativi della lista Bonino e quelle esperienze che fanno molto “di necessità virtù” come le sfide solitarie della  Lega nel 1996 e dell’Udc nel 2008 causa dissenso dal padre padrone del centrodestra italiano. Tutti questi tentativi si sono rivelati fallimentari non solo perché molto spesso maldestri ma anche perché è discutibile l’idea stessa di terzo polo. Tertium non datur diceva la saggezza latina, ma senza scomodare i padri latini è sufficiente osservare come in Europa  e forse anche nel mondo non esistono terzi poli, tutt’al più esistono forze politiche terze che sono alleate di partiti più grandi o che di volta in volta scelgono la coalizione più congeniale, penso in questo caso ai liberali tedeschi o ancora di più liberaldemocratici inglesi, storico mito terzo polista, che alla fine per accedere al governo hanno abbandonato la loro posizione terzista per un accordo con i conservatori di David Cameron. Che il terzo polo non paga l’aveva capito anche Bettino Craxi che incuneò il suo Psi tra la Dc e il Pci e che non faceva mistero di puntare, tra un’alleanza e l’altra con la Dc,  ad un assorbimento del cadente partito comunista per presentarsi come leader di una sinistra riformista alternativa alla Dc e capace di governare da sola. Il terzo polo  dunque non è destinato a governare ma ad allearsi per governare, l’alternativa è  chiudersi in una splendid isolation assolutamente sterile o peggio diventare “partito di sottogoverno”, una specie di cricca che più che a governare mira ad occupare poltrone e strapuntini. Nell’attuale scenario politico, nonostante gli epigoni del terzo polo siano sempre alla ricerca come i predatori dell’Arca perduta, Fini, Casini e Rutelli vengono additatiti come i protagonisti di un eventuale avventura al centro che, magari con una spruzzata di Montezemolo, i sondaggi dell’interessato Corriere della Sera incoraggiano. Ma il Terzo Polo potrebbe essere la tomba delle aspirazioni politiche di Fini e Casini che rischiano di rimanere schiacciati tra un riedito centrosinistra e un eventuale colpo di coda del Cavaliere che non vuole saperne di essere disarcionato dalla guida del governo e del centrodestra. Fini sembra già avere preso le distanze dall’idea di terzo polo e punta con una abile operazione di guerriglia non ad occupare un altro spazio ma a sottrarre lo spazio dell’ingombrante Berlusconi mentre Casini dal canto suo con il progetto del  Partito della Nazione sembra intenzionato ad archiviare le tentazioni neocentriste e puntare decisamente verso qualcosa di nuovo. Chissà che i due non si ritrovino. Al di là delle singole strategie politiche appare evidente che l’Italia non ha bisogno del Terzo Polo, di una chimera neocentrista che si tradurrebbe nella realtà come una raccolta di ambiguità destinate ad una mera gestione del potere, ma ha bisogno di un partito vero, fatto di idee e di persone, responsabile e con la vocazione a governare. L’esplosione del Pdl, la fine dell’esperienza politica berlusconiana e, si spera, del berlusconismo non aprirà uno spazio al centro, lo spazio per l’ennesimo partitino ma mostrerà uno spazio politico nuovo che occuperà chi saprà interpretare al meglio il desiderio di novità e credibilità degli italiani.

Adriano Frinchi

Caro Presidente Casini,

ho pensato a lungo prima di scriverle. Mi perdonerà se ho avuto l’ardire di seguire il consiglio che lei ci rivolse l’anno scorso alla Summer School dell’Udc, quello cioè, di farsi sentire, di “rompere per costuire”, come disse lei. Sono convinto che quell’invito non possa avere più valore che in questi giorni di grande confusione e concitazione, proprio quando la realizzazione del progetto del Partito della Nazione sembra essere ad un passo dal compimento e proprio quando il nostro partito è bersaglio di una vera e propria offensiva da parte del Centro Destra con lo scopo di “riportarci a casa” (tanto per usare un’espressione ricorrente). Non so se quello che sto per scrivere sia giusto o rispettoso, ma lo prenda, per favore, come lo sfogo di un ragazzo sedicenne che crede in lei e crede soprattutto nel progetto che da due anni a questa parte propagandiamo con forza.

Vengo da una famiglia con solide origini democristiane, popolari e anche assai terziste. Nel 2008, in piena campagna elettorale, ho maturato la mia prima convinta e ben ponderata riflessione politica che mi ha portato ad avvicinarmi all’Udc. La prova di coraggio da voi dimostrata mi aveva letteralmente conquistato e mi aveva convinto che se avessi voluto intraprendere la strada della politica, non avrei potuto scegliere compagnia migliore della vostra. Per questo, con un po’ di anticipo sui tempi previsti, ho bussato alla porta della sezione Udc del mio paese e lì ho cominciato a fare politica seria: ascoltare le istanze dei cittadini, elaborare proposte di rilancio e rinnovamento e convincere i miei coetanei che si può continuare a sognare un futuro migliore, sono diventati le mie passioni principali, sempre alimentante dal sogno di poter cambiare le cose. E in meglio. Quando poi a Roma, l’anno scorso, ha lanciato per la prima volta l’idea del Partito della Nazione, mi sono definitivamente convinto che cambiare le cose si può fare davvero e ho raddoppiato l’impegno che avevo profuso fino ad allora. Non nascondo, certo, che i diversi rallentamenti durante il nostro cammino mi sono dispiaciuti. Solo che ora, i tempi mi sembrano davvero maturi e evidentemente lo sono, se sia da Destra che da Sinistra tentano di tarparci le ali. Ma noi non possiamo mica farci impaurire dagli aut aut o soggiogare da sostanziose offerte. La stella polare del nostro cammino deve essere sempre e solo una: la realizzazione del progetto che lei lanciò nel 2008 e che ha sostenuto durante tutti questi anni.

Lo si chiami Grande Centro, Terzo Polo, Cosa bianca o Polo Laico, a me non interessa. I nomi sono ben poca cosa in confronto al grande momento che stiamo vivendo: il nostro nuovo partito non vincerà la sfida con il futuro certo con i sofismi linguistici ma con la solidità delle nostre proposte. Dopo due anni di attesa, speranza, cambi di marcia, stop forzati, il grande momento sembra essere finalmente giunto! Il sogno di un nuovo polo capace di modificare la forzata e imposta realtà del bipolarismo “muscolare e coercitivo” era in principio solo dell’Udc: ci ridevano contro, consideravano il voto dato a noi “inutile” e sognavano di ingabbiarci nell’uno o nell’altro schieramento, valletti dei due grandi partiti dai piedi d’argilla. Oggi invece ci cercano insistentemente, ripetono che la nostra scelta solitaria è stata “coraggiosa”, ci vorrebbero addirittura accanto nella guida del Paese. Temono che quello che poteva essere solo qualche tempo fa l’illusione di uno sparuto gruppo di oppositori o un’infatuazione passeggera di alcuni intellettuali terzisti, stia diventando una solida realtà. Perché così è: ci sono in movimento nuove forze, nuove energie che non possiamo assolutamente permetterci di smarrire.

La fuori, Presidente, c’è un mondo che aspetta solo di essere ascoltato e sostenuto. C’è un’Italia che è stanca delle continue e infruttuose divisioni da stadio che viviamo ogni giorno, stanca di dover lottare per arrivare a fine mese, stanca di non poter sognare un futuro migliore. C’è un Nord che non ne può più delle sparate leghiste, che si trova costretto a dover fare i conti con un’agricoltura e un’industria in crisi, che non ne vuole più sapere di essere ingannato quotidianamente. E c’è un Sud che lotta e non si arrende, che ne ha fin sopra i capelli di classi dirigenti fallimentari e sprecone e che non vuole più sentire parlare di mala sanità o istruzione scadente. Ci sono giovani e giovanissimi che come me e tanti altri che sono convinti che le cose si possano cambiare davvero e che lottano per riuscirci; laureati che sono costretti ad emigrare e scappare e che invece rappresentano il futuro del nostro Paese; operai, insegnanti e dottori che dopo aver lottato una vita, si vedono chiusi il proprio posto di lavoro per assenza di fondi; imprenditori soffocati da tasse eccessive e spesso incomprensibili; si potrebbe continuare per pagine e pagine. Abbiamo il dovere, noi come semplici elettori e militanti e lei come nostra guida, di riscoprire un orizzonte dimenticato, quello della buona politica. Altro che giochetti di potere per contrattare questa o quella poltrona, altro che nostalgici residuali di una vecchia politica! Noi siamo molto più moderni di quello che si possa credere. Perché abbiamo il coraggio di mettere in discussione un sistema che non funziona più: Pd e Pdl sono due blocchi conservatori che sperano di continuare a prosperare in questo bipolarismo, che ha finito per dar vita a due mostri come Pdl e Lega, pendente verso gli estremismi e populismi, anziché verso centrismo e moderazione.

Mi scuserà la lunghezza della lettera, Presidente, ma qui si tratta di un sogno, di un programma, di un progetto, che non si possono far naufragare nel nulla. Lasci da parte le sirene di Berlusconi, glielo dico con franchezza, e si concentri solo su se stesso e su di noi. Ad oggi non ci interessa stare a Destra o a Sinistra, in maggioranza o meno: continuiamo a fare quello che abbiamo fatto finora, opposizione costruttiva. Abbiamo fiducia in lei, Presidente. Sono sicuro che potremo riuscire a fare questo benedetto Partito della Nazione, insieme. Per noi, per l’Italia tutta, per il nostro futuro.

GIUSEPPE PORTONERA

Udite udite, elettori siciliani. Dopo il PDL Sicilia, fa il suo ingresso nell’agone elettorale isolano anche il PD Sicilia, “autonomo e federale” da Roma, alter ego di Centro Sinistra della creatura miccicheiana. Annunciato da tempo, oggi ne è stata finalmente ufficializzata la nascita, voluta fortemente dagli ex Ds Beppe Lumia e Antonello Cracolici. Con una doppia intervista, a La Repubblica di Palermo e al Giornale di Sicilia, il senatore Lumia ha poi spiegato le ragioni dell’improvvisa accelerazione di questo progetto, sui cui, ricordiamolo, pesano i pareri contrari di praticamente tutto l’establishment del partito. Obiettivo dell’operazione sembra quello di garantire un appoggio stabile al governo di Raffaele Lombardo, anche per evitare che si concretizzino quelle mosse dal sapore neo-centrista tra MPA, Udc e Innovazioni (gli ex Margherita di Cardinale e Genovese). Non per nulla, infatti, Lumia ha sottolineato il fatto che il nascente Pd col trattino  “non dovrà mai allearsi con l’Udc”, quasi fossimo portatori di chissà quale bubbone.

Al di là dell’aspetto puramente tattico e strategico di questa operazione, su cui non mi va di dilungarmi, resta un quesito a cui sento il bisogno di rispondere: perché, ultimamente, in Sicilia (da sempre dotata di un lusinghiero rapporto con i vertici romani) è scoppiata questa improvvisa voglia di autonomia? Massimo Cacciari, sempre molto duro con i dirigenti PD, è convito che si tratti di “processi inevitabili: proporzionalmente al peso che la Lega o gli autonomisti assumono nel centrodestra, si creano delle reazioni di legittima difesa sul territorio”. Sono in parte d’accordo: con l’exploit leghista degli ultimi tempi e la conseguente trazione nordista che la politica sta conoscendo, una voglia di rivalsa e di ripresa da parte del Meridione, scippato dai Fondi Fas e orfano di politiche serie e innovatrici, sarebbe comprensibile. Il presidente siciliano, Raffaele Lombardo, ha tentato di intercettare questo malcontento, lanciando il famigerato Partito del Sud. Qualche mese fa sembra fatta: insieme al MPA e al Pdl Sicilia, avrebbero fatto il loro ingresso anche gli ex presidenti di Campania e Calabria, Bassolino e Loiero. Un progetto destinato a fallire sin dall’inizio, visto che per un’ipotetica riscossa del Sud, chiamava alle armi tutti i volti di una politica vecchia e fallimentare, che faceva del clientelismo il proprio asso nella manica. E così sembrava essere finita davvero, specie dopo la presa di coscienza di Berlusconi sulla situazione del suo partito nell’isola e il conseguente richiamo all’unità. E invece la notizia di oggi sembra essere destinata a riaccendere quelle lunghe, logoranti e inutili discussioni su una fantomatica Lega del Sud. Nessuno capisce che la nostra nazione ha bisogno di essere riunita, di essere ricucita, nell’ottica di uno rinnovato spirito patriottico e di unità nazionale? Nessuno capisce che alla sparate padane di Bossi non si può rispondere con sparate meridionaliste? Oggi più che mai c’è bisogno di costruire un partito che sappia parlare all’Italia e agli Italiani, da Trento a Portopalo, dal Po al Simeto, dalle Alpi ai Nebrodi. Un Partito della Nazione e per la Nazione, che si faccia carico della ricostruzione della nostra identità nazionale, dilaniata da difficoltà e incomprensioni e dall’egoismo e protagonismo di una parte della nostra classe dirigente. Non si può essere italiani solo quando gioca la nostra nazionale: si è un popolo solo ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Da quasi 150 anni. Certo, il rischio che il richiamo all’unità si traduca in romano-centrismo è forte: ecco perché il progetto di cui Casini si è fatto portatore, insieme all’Udc, deve essere in grado di coniugare spirito nazionale con il rispetto delle autonomie e del regionalismo positivo, di cui parlava quel grande genio di Don Luigi Sturzo. Riallacciare i rapporti tra la periferia (il famoso territorio) e il centro, deve essere un nostro imperativo categorico. Non possiamo più esimere da farci carico di questa necessità. Evitando di ridurlo a mera occasione di pubblicità e rilanciando il lavoro dal basso. Per scongiurare che brutte notizie come quella della nascita dell’ennesimo Partito col trattino possano ripetersi.

GIUSEPPE PORTONERA

Perché parlare di moralità

La recente vicenda del deputato regionale siciliano Salvatore Cintola, al di là dei suoi contorni personali e del suo esito giudiziario, da l’occasione per svolgere una riflessione serena ma necessaria non tanto sulla questione morale di berlingueriana memoria, quanto sulla moralità del costituendo Partito della Nazione e dell’intera vita pubblica Italiana. E’ necessario premettere che non si parla di moralità solamente perché si è sdegnati dai vari furbetti del quartierino o dalla cricca di turno o semplicemente perché qualcuno impaurisce col solito tintinnar di manette, ma se ne parla perché la moralità di un partito e della vita pubblica di un paese è un argomento di civiltà e condizione necessaria per chi vuole dedicarsi al servizio della politica.

Alla base della moralità le persone

Alla base della moralità di un partito o di qualunque altra istituzione ci sono persone morali che si distinguono da persone amorali o peggio immorali perché tra loro sono diffuse delle energie morali cioè dei principi di moralità creduti e attuati. In concreto il nuovo partito potrà avere il migliore codice etico che si possa stilare ma questo risulterà vano e negato se la qualità morale dei suoi aderenti sarà pessima, ed è chiaro che questa qualità pessima determinerà prima o poi lo scadimento dell’intero partito. Se allora sono necessari dei membri che si caratterizzano per la loro moralità occorre che si presti estrema attenzione alle adesioni e naturalmente che si faccia una seria selezione della classe dirigente, ma è fondamentale anche che l’energia morale venga trasmessa e quindi che ci sia anche una vera e propria educazione.

Educare alla vita, educare alla moralità

Il nuovo partito dovrà avere una dimensione educante, cioè dovrà essere capace di trasmettere ai suoi membri delle energie morali. Non si tratta di fare un corso che spieghi come vivere la moralità nel partito o nella vita pubblica ma si tratta di formare la persona al vivere bene aristotelico: dal modo di concepire e condurre la propria esistenza dipende il rapporto che instauriamo col partito, con le istituzioni, con l’intera società.

L’ambiguità fonte dell’immoralità

Non bisogna però ridurre il problema della moralità all’interno di un partito ad un problema di persone. Per dirla con l’esempio del rubare, non dobbiamo preoccuparci solamente se nel partito sono presenti dei ladri ma anche se il rubare diventa prassi costante cioè se si passa da singoli e sparuti episodi a incoerenze costanti che determinano un vero e proprio sistema. In poche parole il partito e le persone vanno protetti da quello che chiamerei il demoniaco del potere. Lo storico tedesco Gerhard Ritter, a cui sono debitore dell’espressione demoniaco del potere scrisse: «il demoniaco non è la pura semplice negazione del bene, non è la sfera della totale oscurità che si contrappone alla piena luce, ma è quella della mezza luce crepuscolare, dell’ambiguità, dell’incerto, di ciò che vi è di più profondamente sinistro».

Ciò che genera sistemi perversi e distorti e che in ultima analisi mette in pericolo anche la moralità di un partito è proprio il crepuscolare o meglio l’ambiguità: un partito diventa ambiguo quando attribuisce ad alcuni concetti essenziali (bene comune, giustizia, onestà, fiducia…) significati diversi a seconda delle circostanze e delle convenienze. Il demoniaco sta proprio in questa costante mutevolezza.. Un importante indice dell’ambiguità sono le parole che si usano per comunicare. Si badi che in questo caso non si fa riferimento all’ignoranza ma all’ambiguità deliberata e pensata nel linguaggio che è un modo di esercitare un potere al fine di creare soggezione, dipendenze, confusione, disordine ed ingiustizie. Uno dei passi da compiere per smascherare l’ambiguità è la totale eliminazione di qualsiasi parlare oscuro, di quel difficilese padre di tanti gerghi incomprensibili come il politichese e il burocratese. Chi parla in maniera oscura, vaga ed ambigua a meno che non sia ignorante lo fa certamente per conseguire dubbie finalità, ecco perché iscritti, dirigenti ed eletti del Partito della Nazione dovranno avere sempre un linguaggio chiaro e comprensibile ispirato al concetto comune alla tradizione greca e giudaico-cristiana della parrhesia, intesa come quel parlare caratterizzato da chiarezza, nobiltà di intenzioni e fiducia.

Prassi generate dall’ambiguità

La palude dell’ambiguità è un ambiente propizio anche per l’affermazione di prassi corrotte, mafiose e clientelari che sono dei veri e propri cancri per il Partito e per la società stessa. E’ bene allora saper riconoscere questi mali per poterli denunciare ed estirpare soprattutto quando si travestono da politica. Nelle prassi corrotte il corruttore non è un semplice ladro, ma è colui che si serve del partito o di una istituzione per accrescere le proprie utilità e fa ciò piegando il sistema ai suoi fini immorali. L’ambiguità comunicativa di cui parlavamo è lo strumento principe del corruttore che non solo vizia meccanismi ma opera anche, quando non è troppo rischioso, un insieme di interventi tesi a giustificare culturalmente il suo operato. Il corruttore inoltre è maestro in ipocrisie e menzogne che servono esclusivamente a perpetuare e conservare il sistema corrotto che è quasi sempre mosso dalla brama di profitto e dalla sete di potere. Accanto alle prassi corrotte spesso si affermano prassi mafiose che sussistono anche in assenza di contatti con organizzazioni mafiose e anche quando non sono presenti reati quali violenze fisiche, estorsioni, traffici illeciti di ogni tipo, controllo del territorio e stragi. Prassi mafiosa è quella di gruppi organizzati che detengono potere sulle risorse, facoltà di scelta e di nomine all’interno di aziende, sanità, università, partiti e associazioni. Lo stile di chi mostra il suo potere per intimorire che si oppone e affiliare chi è d’accordo non può essere definito che mafioso con la sola differenza che i mezzi di violenza fisica sono sostituiti da quelli psicologici: calunnie, diffamazioni, sospetti, mobbing, menzogne, ricatti. Ultima, ma non ultima, è la prassi clientelare che forse è la più subdola e diffusa. Tale prassi consta di un degenerazione delle relazioni che diventano clientelari quando chi detiene un potere tratta chi ha bisogno come un cliente da proteggere che a sua volta ripagherà questa tutela con servigi e utilità di vario tipo. Questo tipo di rapporti negano ogni ricerca e attuazione del bene comune e favoriscono l’ingiustizia e una forma falsata di solidarietà. Tipico esempio del rapporto clientelare è la raccomandazione che rivela molto spesso una degenerazione totale del sistema per cui se qualcuno corrompe significa anche che alcuni sono pronti a farsi corrompere, mentre altri si deresponsabilizzano e fanno finta di niente, mentre altri ancora non esercitano le proprie funzioni di controllo e repressione della corruzione.

L’opzione fondamentale per la moralità

Le degenerazioni appena indicate sono evitabili o estirpabili non solo con l’educazione e la vigilanza ma soprattutto con una opzione fondamentale dei singoli a favore della moralità della vita politica perché la scelta di opporsi a sistemi marci è una scelta di coscienza, è una vera e propria obiezione di coscienza. Ma la scelta dei singoli per quanto nobile e fondamentale non è sufficiente per fronteggiare la corruzione e le reti mafiose, ma occorre creare consenso introno al problema attraverso l’informazione e la formazione perché come scriveva Giovanni Falcone: «si muore generalmente pere spesso perché si è soli. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché privi di sostegno». Il Partito della Nazione se veramente vorrà distinguersi per un nuovo modo di fare politica dovrà fare sua la battaglia per la legalità e la moralità che non è una battaglia populista per prendere qualche voto in più ma una battaglia di civiltà che deve vedere impegnati tutti coloro che amano l’Italia e la democrazia.

Adriano Frinchi

La notizia è di quelle che non vorresti mai leggere specie se il titolo accosta parole come “auto blu”, “cocaina” e purtroppo “Udc”, senza contare che è l’ennesima prova di una condotta politica ed anche morale assai dubbia da parte di uno dei parlamentari regionali dell’Udc siciliana. Questa triste e incresciosa situazione è l’occasione propizia per un piccolo e veloce sfogo sulla questione morale che deve necessariamente essere parte fondante del progetto politico del Partito della Nazione.  Su vicende come queste  si gioca la credibilità dell’Udc e del costituendo Partito della Nazione che devono avere il coraggio di prese di posizione nette e chiare, che devono mandare un segnale forte di discontinuità rispetto ad una certa politica che pur di conservare consenso e potere non ha esitato a svendere l’immagine del partito a personaggi che più che fare politica si sono serviti del partito per rafforzare personali posizioni di potere e curare i loro “interessi” più o meno leciti. Se davvero si vuole costruire un nuovo partito e se davvero si vuole cominciare a fare una nuova politica che abbia come unico interesse il bene della Nazione allora è giunto il momento di smettere di auto assolversi e di difendere l’indifendibile e di essere uomini e donne con la schiena dritta che sanno pronunciare coraggiosi e chiarissimi “no” che hanno il coraggio di decisioni limpide e forti. Forse si perderà qualche voto del ras di turno, ma si guadagnerà certamente in credibilità e forse il voto di tutti quei liberi, forti e giusti che in questo momento attendono una nuova possibilità di tornare a fare politica, di tornare a servire il Paese.

Adriano Frinchi

P.S.

Il mio articolo ha di fatto avuto una risposta concreta dai vertici nazionali dell’Udc che con questo atto coraggioso fanno strada in un percorso virtuoso che potrà fare soltanto bene al progetto del Partito della Nazione. Le considerazioni precedentemente fatte rimangono un monito importante ma soprattutto un programma ed un compito.

C’è un libro che si regala ai bambini ma che forse dovrebbero leggere tutti gli adulti perché dice una infinità di cose grandi e belle che purtroppo, presi dalle mille cose che si muovono sotto il cielo, noi adulti spesso dimentichiamo. Mi riferisco a “il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupery e da questo splendido libro voglio partire per fare una riflessione sul partito che verrà. So che è un po’ inusuale come punto di partenza, forse avrei potuto citare qualche importante statista o ancora qualche filosofo ma invece voglio partire da questo grande uomo, da questo scrittore ed aviatore che ci ricorda quelle due o tre cose fondamentali della vita che, credo, sono anche indispensabili per la politica. E allora penso che la frase più adatta in questo momento storico si trova al capitolo XXI di questo piccolo grande libro: “è il tempo che hai perso per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”. A primo impatto sembra una frase banale quasi scontata, invece credo sia un aforisma di una portata immensa che ci fa capire come nella vita le cose importanti nascono solamente da persone disponibili, impegnate, disposte anche a perdere non solo il tempo ma qualcosa di sé per ciò che si ritiene un bene. Così sarà anche per il nuovo partito, che avrà un futuro solamente se a costruirlo saranno uomini e donne di questo spessore, pronti in ultima analisi ad essere generosi e dunque “a perdere” qualcosa. Non si andrà da nessuna parte se chi si impegnerà per questo progetto lo farà per raggiungere ed ottenere posizioni di prestigio e di potere: solamente la politica intesa come servizio garantirà un futuro concreto a questa nuova avventura politica. Il secondo elemento prezioso che ricavo dalla massima di Saint-Exupery è che per le cose buone serve tempo. Sì, il partito della Nazione, della Repubblica, qualunque sia il suo nome, non deve e non può nascere a tavolino, per decisione di pochi ma dovrà essere il frutto di un processo democratico che coinvolga i cittadini e per far ciò occorre il tempo: tempo per le idee, tempo per organizzare, tempo per fare una proposta politico-culturale alla nostra società. E’ necessario comprendere che questo nuovo partito non è una operazione elettorale o peggio un semplice maquillage politico, ma è un progetto serio e partecipativo, competitivo per il futuro. “Perdere tempo” per questa rosa è autentica dedizione che però deve avere dei punti cardine: concretezza, cultura e giovani. Il progetto del partito della nazione dovrà essere concreto, ciò significa abbandonare il politichese e le incomprensibili e machiavelliche piroette delle vecchie volpi della politica a tutto vantaggio di un linguaggio chiaro e comprensibile alla gente; in secondo luogo è necessario ricreare una classe politica che nasce dalle amministrazioni locali (cosa di più concreto?), dal duro lavoro degli enti locali e non dai salotti bene e dalle corti politiche; bisogna tornare a confrontarsi con i problemi della gente, i massimi sistemi sui quali alle volte ci attardiamo a discutere lasciano il tempo che trovano e ci allontanano dalla gente. A proposito la discussione sul simbolo del partito (scudocrociato sì, scudocrociato no) non credo sia un buon punto di partenza per il nuovo partito, ci sarà modo di confrontarsi su questo tema che sicuramente ha un certo rilievo ma gli italiani oggi non chiedono un nuovo simbolo o una nuova sigla ma chiedono un nuovo modo di fare politica. La seconda coordinata del partito della nazione dovrà essere la cultura. Il progetto politico deve essere preceduto da un progetto culturale forte e credibile che rappresenti una novità rispetto all’ammuffita cultura di certi ambienti di sinistra e una alternativa di qualità rispetto al berlusconismo. Fare cultura significa prima di tutto tornare a pensare, cioè essere capaci di confronto e di indicare nuovi orizzonti, ed essere presenti nei luoghi della cultura (le agorà virtuali, la stampa, l’università, la scuola…). Non dobbiamo solo proporre un programma elettorale, dobbiamo essere portatori di una visione del mondo consapevole delle proprie radici ma aperta al futuro fiduciosamente imperniata nel dialogo con la cultura contemporanea. Infine i giovani. Non è banale giovanilismo, ma si tratta, come ha detto giustamente Casini a Todi, di ritrovare un contatto con i giovani che oggi sono decisamente incupiti e smarriti per un futuro decisamente non roseo. Il partito che verrà dovrà essere un partito dei giovani e per i giovani, capace di suscitare entusiasmo, di accendere la passione, di dare sfogo a tutte quelle energie di cui sono pieni i giovani, un partito che ritorna nelle università e nelle scuole, capace dunque di aggregare e affascinare. E il partito che sogniamo prima che dei giovani e per giovani dovrà essere un partito giovane non solo anagraficamente ma soprattutto nello spirito, dobbiamo allora costruire un partito ricettivo a ciò che è bello, buono e grande, che si interroga come un ragazzo insaziabile, che sfida gli avvenimenti ed è capace di profezia.
Infine ho un sogno. Molti mi conosco e sanno che non sono un pauperista però mi piacerebbe che nelle prime file dei nostri convegni e dunque tra le nostre prime preoccupazioni ci fosse la povera gente. Troppi potenti e ricchi nelle nostre prime file che sicuramente potranno foraggiare il nostro partito e i nostri uomini per raggiungere i loro interessi, ma che ci faranno sicuramente calpestare tutti coloro per cui noi ci impegniamo in politica. Non cerchiamo il nostro Berlusconi, e non inseguiamo nemmeno i vari Montezemolo, ma spendiamo il nostro tempo per i nostri concittadini che non arrivano alla fine del mese. Un partito solidale, dalla parte dei poveri, dei deboli e degli ultimi questo dobbiamo costruire, questo sarà veramente un partito nuovo.
Alla fine di queste riflessioni sparse, che spero daranno un minimo contributo al dibattito intorno al nuovo partito, ritorno ancora una volta a quella citazione iniziale e mi chiedo e vi chiedo: “c’è qualcuno disposto a perdere tempo per una rosa?”.

Adriano Frinchi