Houston, abbiamo un problema. E di quello serio: chiamasi “questione morale”. In meno di due giorni, infatti, sembra essere riesplosa questa grana che tanto ha afflitto l’Udc (specie quello siciliano). Chi non ricorda le tristi battute che ci venivano indirizzate dopo la condanna del nostro Presidente della Regione siciliana, Totò Cuffaro? “Unione Dei Carcerati”, “Il partito dei Cannoli”, “Unione delle Coppole” e tante altre squallide freddure che non sto qui a ripetere. È inutile nascondere il fatto che dopo le dimissioni di Cuffaro, abbiamo attraversato un momento durissimo: ricordo quei giorni come fossero ieri. La paura di sparire era grandissima, senza i voti dell’ex presidente ci davano tutti per spacciati. E invece, stringendo i denti e volgendo lo sguardo al rinnovamento, siamo ancora qui, molto più forti e testardi di prima. Ci siamo affidati a una classe dirigente nuova, legata solo ai propri ideali e a un segretario regionale, Saverio Romano, giovane e capace, che ha saputo rilanciare le nostre proposte politiche e che ora ha assunto il profilo sempre più di vero e proprio leader nazionale. Abbiamo tamponato le ferite, elaborato il lutto e siamo rinati, risorti. Non siamo più solo il partito di Cuffaro: siamo il motore riformista di quel grande progetto politico che è la Costituente di Centro. Pronti a contare e presentarci agli occhi degli elettori per quello che siamo veramente e non come altri vorrebbero farci apparire.

Ma si sa, le ferite sono fatte per riaprirsi. E così, come se nulla fosse, come se il lavoro di tutti questi mesi e anni non fosse mai stato fatto, siamo tornati nell’occhio del ciclone. Grazie a Salvatore Cintola, deputato regionale segnalato per uso di cocaina, fino a ieri nell’Udc e prontamente espulso dal segretario Lorenzo Cesa. Al di là della sua vicenda giudiziaria – su cui non mi esprimo perché non sono un giudice e perché resto sempre fedele al principio liberale del “garantismo”: innocenti sino alla condanna – resta però un importante giudizio politico: il nostro partito è ancora retaggio di alcuni ras del voto, o è davvero in grado di intercettare voti esclusivamente in base alla propria politica? In sostanza, la gente ci vota perché siamo il partito UDC in quanto tale o perché siamo il partito di Tizio, di Caio o di Sempronio? Sono sempre più convinto che questo sia un momento di transizione, in cui nuovi equilibri stanno per soppiantare quelli vecchi: il garantismo eccessivo, la scelta di tacere alcune vicende, la dottrina del “vivi e lascia vivere” non possono più essere riproposte. Sono convinto che il nostro partito possa avere come propria stella polare quella della legalità e della giustizia. Dobbiamo essere pronti, pur rispettando le vicende personali di ciascuno, ad allontanare chiunque sbagli e aiutarli ad affrontare la giustizia. Se sono innocenti, noi li aspetteremo sempre a braccia aperte. Guardate la vicenda di Calogero Mannino: ha avuto il coraggio di dimettersi e di affrontare ogni grado di giudizio, senza fuggire o cercare scappatoie varie. Oggi è stato definitivamente assolto e io non mi stancherò mai di additarlo come modello e punto di riferimento. Giustizia tardiva, lo so. Ma pur sempre giustizia, per lui e per noi. Saremo in grado di far nascere un partito equo e corretto, lontano sia dai “professionisti dell’antimafia” che dai “professionisti del garantismo”?

Dobbiamo, in conclusione, rovesciare la logica della “questione morale”: il nostro scopo deve essere quello di far scoppiare un “Risorgimento morale”. Perché la legalità non è appannaggio solo di pochi, consumati legalitari. È di tutti. E deve specialmente essere nostra.

PS: “Se dovessi essere condannato in via definitiva, uscirò completamente dalla scena politica. In ogni caso, fino al pronunciamento della Cassazione, non parteciperò a manifestazioni politiche. Ritengo che sia giusto così”. Così ha detto Totò Cuffaro, che al contrario di molti altri è pronto, se necessario, a mettere la parola fine.

GIUSEPPE PORTONERA

Perché parlare di moralità

La recente vicenda del deputato regionale siciliano Salvatore Cintola, al di là dei suoi contorni personali e del suo esito giudiziario, da l’occasione per svolgere una riflessione serena ma necessaria non tanto sulla questione morale di berlingueriana memoria, quanto sulla moralità del costituendo Partito della Nazione e dell’intera vita pubblica Italiana. E’ necessario premettere che non si parla di moralità solamente perché si è sdegnati dai vari furbetti del quartierino o dalla cricca di turno o semplicemente perché qualcuno impaurisce col solito tintinnar di manette, ma se ne parla perché la moralità di un partito e della vita pubblica di un paese è un argomento di civiltà e condizione necessaria per chi vuole dedicarsi al servizio della politica.

Alla base della moralità le persone

Alla base della moralità di un partito o di qualunque altra istituzione ci sono persone morali che si distinguono da persone amorali o peggio immorali perché tra loro sono diffuse delle energie morali cioè dei principi di moralità creduti e attuati. In concreto il nuovo partito potrà avere il migliore codice etico che si possa stilare ma questo risulterà vano e negato se la qualità morale dei suoi aderenti sarà pessima, ed è chiaro che questa qualità pessima determinerà prima o poi lo scadimento dell’intero partito. Se allora sono necessari dei membri che si caratterizzano per la loro moralità occorre che si presti estrema attenzione alle adesioni e naturalmente che si faccia una seria selezione della classe dirigente, ma è fondamentale anche che l’energia morale venga trasmessa e quindi che ci sia anche una vera e propria educazione.

Educare alla vita, educare alla moralità

Il nuovo partito dovrà avere una dimensione educante, cioè dovrà essere capace di trasmettere ai suoi membri delle energie morali. Non si tratta di fare un corso che spieghi come vivere la moralità nel partito o nella vita pubblica ma si tratta di formare la persona al vivere bene aristotelico: dal modo di concepire e condurre la propria esistenza dipende il rapporto che instauriamo col partito, con le istituzioni, con l’intera società.

L’ambiguità fonte dell’immoralità

Non bisogna però ridurre il problema della moralità all’interno di un partito ad un problema di persone. Per dirla con l’esempio del rubare, non dobbiamo preoccuparci solamente se nel partito sono presenti dei ladri ma anche se il rubare diventa prassi costante cioè se si passa da singoli e sparuti episodi a incoerenze costanti che determinano un vero e proprio sistema. In poche parole il partito e le persone vanno protetti da quello che chiamerei il demoniaco del potere. Lo storico tedesco Gerhard Ritter, a cui sono debitore dell’espressione demoniaco del potere scrisse: «il demoniaco non è la pura semplice negazione del bene, non è la sfera della totale oscurità che si contrappone alla piena luce, ma è quella della mezza luce crepuscolare, dell’ambiguità, dell’incerto, di ciò che vi è di più profondamente sinistro».

Ciò che genera sistemi perversi e distorti e che in ultima analisi mette in pericolo anche la moralità di un partito è proprio il crepuscolare o meglio l’ambiguità: un partito diventa ambiguo quando attribuisce ad alcuni concetti essenziali (bene comune, giustizia, onestà, fiducia…) significati diversi a seconda delle circostanze e delle convenienze. Il demoniaco sta proprio in questa costante mutevolezza.. Un importante indice dell’ambiguità sono le parole che si usano per comunicare. Si badi che in questo caso non si fa riferimento all’ignoranza ma all’ambiguità deliberata e pensata nel linguaggio che è un modo di esercitare un potere al fine di creare soggezione, dipendenze, confusione, disordine ed ingiustizie. Uno dei passi da compiere per smascherare l’ambiguità è la totale eliminazione di qualsiasi parlare oscuro, di quel difficilese padre di tanti gerghi incomprensibili come il politichese e il burocratese. Chi parla in maniera oscura, vaga ed ambigua a meno che non sia ignorante lo fa certamente per conseguire dubbie finalità, ecco perché iscritti, dirigenti ed eletti del Partito della Nazione dovranno avere sempre un linguaggio chiaro e comprensibile ispirato al concetto comune alla tradizione greca e giudaico-cristiana della parrhesia, intesa come quel parlare caratterizzato da chiarezza, nobiltà di intenzioni e fiducia.

Prassi generate dall’ambiguità

La palude dell’ambiguità è un ambiente propizio anche per l’affermazione di prassi corrotte, mafiose e clientelari che sono dei veri e propri cancri per il Partito e per la società stessa. E’ bene allora saper riconoscere questi mali per poterli denunciare ed estirpare soprattutto quando si travestono da politica. Nelle prassi corrotte il corruttore non è un semplice ladro, ma è colui che si serve del partito o di una istituzione per accrescere le proprie utilità e fa ciò piegando il sistema ai suoi fini immorali. L’ambiguità comunicativa di cui parlavamo è lo strumento principe del corruttore che non solo vizia meccanismi ma opera anche, quando non è troppo rischioso, un insieme di interventi tesi a giustificare culturalmente il suo operato. Il corruttore inoltre è maestro in ipocrisie e menzogne che servono esclusivamente a perpetuare e conservare il sistema corrotto che è quasi sempre mosso dalla brama di profitto e dalla sete di potere. Accanto alle prassi corrotte spesso si affermano prassi mafiose che sussistono anche in assenza di contatti con organizzazioni mafiose e anche quando non sono presenti reati quali violenze fisiche, estorsioni, traffici illeciti di ogni tipo, controllo del territorio e stragi. Prassi mafiosa è quella di gruppi organizzati che detengono potere sulle risorse, facoltà di scelta e di nomine all’interno di aziende, sanità, università, partiti e associazioni. Lo stile di chi mostra il suo potere per intimorire che si oppone e affiliare chi è d’accordo non può essere definito che mafioso con la sola differenza che i mezzi di violenza fisica sono sostituiti da quelli psicologici: calunnie, diffamazioni, sospetti, mobbing, menzogne, ricatti. Ultima, ma non ultima, è la prassi clientelare che forse è la più subdola e diffusa. Tale prassi consta di un degenerazione delle relazioni che diventano clientelari quando chi detiene un potere tratta chi ha bisogno come un cliente da proteggere che a sua volta ripagherà questa tutela con servigi e utilità di vario tipo. Questo tipo di rapporti negano ogni ricerca e attuazione del bene comune e favoriscono l’ingiustizia e una forma falsata di solidarietà. Tipico esempio del rapporto clientelare è la raccomandazione che rivela molto spesso una degenerazione totale del sistema per cui se qualcuno corrompe significa anche che alcuni sono pronti a farsi corrompere, mentre altri si deresponsabilizzano e fanno finta di niente, mentre altri ancora non esercitano le proprie funzioni di controllo e repressione della corruzione.

L’opzione fondamentale per la moralità

Le degenerazioni appena indicate sono evitabili o estirpabili non solo con l’educazione e la vigilanza ma soprattutto con una opzione fondamentale dei singoli a favore della moralità della vita politica perché la scelta di opporsi a sistemi marci è una scelta di coscienza, è una vera e propria obiezione di coscienza. Ma la scelta dei singoli per quanto nobile e fondamentale non è sufficiente per fronteggiare la corruzione e le reti mafiose, ma occorre creare consenso introno al problema attraverso l’informazione e la formazione perché come scriveva Giovanni Falcone: «si muore generalmente pere spesso perché si è soli. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché privi di sostegno». Il Partito della Nazione se veramente vorrà distinguersi per un nuovo modo di fare politica dovrà fare sua la battaglia per la legalità e la moralità che non è una battaglia populista per prendere qualche voto in più ma una battaglia di civiltà che deve vedere impegnati tutti coloro che amano l’Italia e la democrazia.

Adriano Frinchi

La notizia è di quelle che non vorresti mai leggere specie se il titolo accosta parole come “auto blu”, “cocaina” e purtroppo “Udc”, senza contare che è l’ennesima prova di una condotta politica ed anche morale assai dubbia da parte di uno dei parlamentari regionali dell’Udc siciliana. Questa triste e incresciosa situazione è l’occasione propizia per un piccolo e veloce sfogo sulla questione morale che deve necessariamente essere parte fondante del progetto politico del Partito della Nazione.  Su vicende come queste  si gioca la credibilità dell’Udc e del costituendo Partito della Nazione che devono avere il coraggio di prese di posizione nette e chiare, che devono mandare un segnale forte di discontinuità rispetto ad una certa politica che pur di conservare consenso e potere non ha esitato a svendere l’immagine del partito a personaggi che più che fare politica si sono serviti del partito per rafforzare personali posizioni di potere e curare i loro “interessi” più o meno leciti. Se davvero si vuole costruire un nuovo partito e se davvero si vuole cominciare a fare una nuova politica che abbia come unico interesse il bene della Nazione allora è giunto il momento di smettere di auto assolversi e di difendere l’indifendibile e di essere uomini e donne con la schiena dritta che sanno pronunciare coraggiosi e chiarissimi “no” che hanno il coraggio di decisioni limpide e forti. Forse si perderà qualche voto del ras di turno, ma si guadagnerà certamente in credibilità e forse il voto di tutti quei liberi, forti e giusti che in questo momento attendono una nuova possibilità di tornare a fare politica, di tornare a servire il Paese.

Adriano Frinchi

P.S.

Il mio articolo ha di fatto avuto una risposta concreta dai vertici nazionali dell’Udc che con questo atto coraggioso fanno strada in un percorso virtuoso che potrà fare soltanto bene al progetto del Partito della Nazione. Le considerazioni precedentemente fatte rimangono un monito importante ma soprattutto un programma ed un compito.