Norman Zarcone aveva 27 anni, si era laureato con 110 e lode in filosofia della conoscenza e della comunicazione e stava per concludere il dottorato di ricerca. Norman ieri si è lasciato cadere dal settimo piano della sua facoltà di lettere e filosofia, depredato dei suoi sforzi e dei suoi sogni da una società che gli lasciava solamente piantare ombrelloni in estate. Non si tratta di una esaltazione della morte ma è il riconoscimento di un sacrificio, di una lezione che tutti noi dobbiamo apprendere. Da ieri Palermo ha il suo Jan Palach: lo studente boemo di filosofia si era immolato contro il regime comunista che soffocava la Primavera di Praga, Norman invece si è immolato contro questa società degenere e la sua classe dirigente che soffocano le primavere di molte vite. Sono intimamente convinto che questo giovane non era solo un debole e un depresso, come tenteranno di convincerci, ma era un giovane grandioso e soprattutto un vero filosofo che seguendo l’esempio dei grandi del passato ha deciso di dare la sua più grande lezione rinunciando al bene supremo della vita. Il sacrificio di Norman accusa la nostra sciocca società che quello stesso pomeriggio si preparava ad eleggere la sua Miss Italia in una ragazzetta, senza colpe per carità, ma che leggendo solo libri d’amore e disinteressandosi di politica ben presto guadagnerà assai di più di Norman nella sua breve vita. Ma il sacrificio di questo giovane filosofo accusa la classe politica italiana e siciliana, una classe politica mediocre, ignorante e criminale. I ben pochi casellari giudiziari puliti dei politici siciliani da oggi contano un omicidio, quello di Norman. Ha ragione il papà di questo giovane, siamo davanti ad un “omicidio di Stato” perché Norman e i tanti giovani come lui derubati dei sogni e del futuro sono vittime di quella massa di inetti arroccata nei palazzi del potere che mentre affamano la Sicilia si permettono ancora di continuare a calpestare i siciliani con le loro indegne ed illusorie pratiche clientelari. Da oggi però il sacrificio di Norman li perseguiterà notte e giorno come una maledizione che li raggiungerà nei loro palazzi, nei loro preziosi scranni e non risparmierà nessuno: tutti sono colpevoli al centro, a destra e a sinistra, siano essi consiglieri di circoscrizione o presidenti della regione, sono colpevoli di una infinità di reati, ma sono soprattutto colpevoli di rubare i sogni, quei sogni che sono la vita stessa dei giovani. E mentre cala il silenzio della stampa e della tv impegnate a seguire lo sciopero dei calciatori miliardari, le alchimie politiche e le scalate sociali di nani e ballerine spero che il sacrificio di Norman non venga dimenticato, spero che questa unica lezione del professor Norman Zarcone non venga facilmente dimenticata e che tanti si sentano ribollire il sangue nelle vene e trovino la forza di ribellarsi, di ritrovare la dignità civile di denunciare e combattere con le armi della democrazia chi si prostituisce e si fa servo per potere, sesso e denaro. Il teologo cattolico Josef Zeverina, autore della celebre Lettera ai cristiani d’Occidente, scrisse a proposito dell’estremo gesto di Palach: “La tragica morte di Jan Palach non fu un suicidio, ma un sacrificio di sé. (…) Palach morì perché vivessero gli altri”. Così è stato per Norman Zarcone che non si è suicidato ma si è sacrificato perché gli altri suoi coetanei possano vivere una vita che anche se dura, non deve mai rinunciare al desiderio di una vita piena e di un futuro migliore.

Adriano Frinchi

Una delle scene più ricordate del film di Marco Tullio Giordana “la meglio gioventù” vede uno dei protagonisti, interpretato da Luigi Lo Cascio, sostenere il più classico degli esami universitari con un professore universitario che nonostante la noia e il caldo nota questo giovane brillante al quale decide di dare un consiglio spiazzante: “qualsiasi cosa decida di fare lasci questo Paese”. Il professore, che al contempo sembra parte integrante e prigioniero di un sistema perverso, invita il giovane universitario a provare a realizzare i suoi sogni lontano dall’Italia che viene dipinta come un “un posto bello ed inutile, destinato a morire” nel quale l’immobilismo viene custodito dai cosiddetti “dinosauri”. La scena, che consiglio caldamente di rivedere, in principio suscita un sorriso a cui però subentra una certa amarezza per la verità delle affermazioni riguardanti la condizione giovanile nel nostro Paese. L’Italia è un paese per “vecchi”, dove i “dinosauri” denunciati dal professore del film di Giordana detengono il potere e si cimentano giornalmente in una inutile conservazione di esso per consentire la perpetuazione di un sistema di caste che si sorreggono sulle fatiche dei poveri cristi. Le prime vittime di questo sistema perverso sono le nuove generazioni che prive di sogni e speranze vengono abbandonate ad una precarietà senza vie di uscita. No, questa non è la solita retorica giovanilistica o un trito argomento per dibattiti è solamente un dato di fatto: un giovane su tre e’ disoccupato e coloro che lavorano sono intrappolati nella morsa della precarietà, per non parlare della crisi senza precedenti che attraversano le istituzioni che dovrebbero aiutare i giovani cioè la famiglia, la scuola e l’università. Il quadro anche per i non esperti della materia è assolutamente desolante ed è  aggravato dalla crisi economica. In questa situazione avvilente per il Paese e soprattutto per le nuove generazioni fa davvero rabbia un governo che invece di investire e dare opportunità ai giovani propone un surrogato di attenzione portatore per di più di una visione distorta della giovinezza. Nello specifico il governo Berlusconi che si è distinto per i tagli, in particolare alla scuola, ha trovato fondi per finanziare due iniziative che dovrebbero (il condizionale è assolutamente obbligato) aiutare i giovani: si tratta della “mini-naja” del ministro La Russa e delle “comunità giovanili” del ministro Meloni. Ignazio La Russa ha pensato di destinare circa 19 milioni di euro per la cosiddetta “mini-naja” cioè  la possibilità in via sperimentale per giovani ragazzi e ragazze tra i 18 e 30 anni di partecipare a corsi tecnico-pratici della durata di non più di tre settimane nell’esercito, con lo scopo di avvicinare i giovani ai valori delle forze armate. L’iniziativa del ministro della difesa appare assolutamente discutibile: perché gettare dei soldi in iniziative assolutamente demagogiche quando ai giovani italiani servirebbero fondi per formarsi, per inserirsi nel mondo del lavoro e per essere competitivi in Europa?  E perché buttare in questo modo inutile i soldi quando c’è un bilancio della difesa decurtato anno dopo (con evidenti conseguenze su addestramento e mezzi) e l’80% volontari in ferma prolungata che hanno prestato servizio per anni distinguendosi in molte missioni all’estero non potranno passare in servizio permanente effettivo proprio per la mancanza di risorse finanziarie? Non ho nulla contro le caserme, ma penso che i giovani italiani abbiano bisogno di ben altro e non di giocare a Rambo per tre settimane.  Ma la delusione più grande in campo di politiche giovanili viene proprio da chi dovrebbe occuparsi per conto del governo di questa materia: Giorgia Meloni. Il giovane ministro della gioventù non si è segnalata particolarmente per la sua attività ministeriale, l’ultima apparizione degna di nota è stata a marzo per la manifestazione del Pdl quando ha organizzato e guidato magistralmente con tanto di megafono i giovani pidiellini in corteo. Forse qualcuno farebbe bene a ricordare al ministro che si trova al ministero della gioventù e non al Fronte della gioventù. Ma torniamo alle cose concrete, la Meloni è tornata all’onore delle cronache grazie all’ultima rissa verificatasi alla Camera dove alcuni suoi compagni di partito hanno picchiato un deputato dell’Italia dei Valori che non era tanto d’accordo con il disegno di legge 2505 presentato appunto dal ministro Meloni di concerto con i ministri Tremonti e Fitto. Ma che cos’è il ddl 2505 meglio noto come “ddl Meloni”? Si tratta, come ha notato Benedetto Della Vedova sul Secolo d’Italia, di misure di incentivo finanziario e di riconoscimento giuridico per quella realtà giovanili che “organizzano la  vita associativa come esperienza comunitaria” e, su questa base, perseguono i propri scopi sociali nei campi più disparati: l’educazione all’impegno sociale e civile, alla legalità, alla partecipazione e alle conoscenze culturali; lo svolgimento di attività sportive, ricreative, sociali, didattiche, ambientali, culturali, turistiche, agricole, artigianali, artistiche, informative e formative; la promozione delle iniziative internazionali, comunitarie e nazionali sulle tematiche giovanili. In pratica circa 20 milioni di euro verranno tolti alle reali necessità dei giovani e finiranno per finanziare qualche centro sociale e qualche associazione giovanilistica organizzata magari attorno a un aspirante leader politico vicino al ministro della gioventù. Ma a destare perplessità e a lasciare sgomenti  non è solo il maldestro tentativo di finanziare amici e sodali politici con la scusa delle “comunità giovanili” ma è anche l’assoluta lontananza del ministero rispetto alle problematiche del mondo giovanile e l’idea malsana di rispondere a queste problematiche con una iniziativa giovanilistico-burocratica (così definita da Marco Valerio Lo Prete su “Il Foglio”, n.d.r) che introdurrebbe una assurda statalizzazione dell’associazionismo giovanile. Ha ragione allora Rosalinda Cappello che sul periodico della fondazione “Fare Futuro” si domanda  se con le difficoltà economiche che ci sono e con la necessità di economizzare, la priorità non sia tanto quella di dare finanziamenti alle “comunità giovanili” quanto invece di puntare sullo sviluppo di politiche che davvero possano contribuire a risollevare le sorti e le speranze di una fascia generazionale fondamentale per il futuro del paese. Una generazione che non può essere tenuta ancora ai margini del sistema produttivo e impietosamente condannata alla precarietà, quasi avesse delle colpe da scontare.

Le iniziative dei ministri La Russa e Meloni oltre ad essere inutili ed insufficienti rivelano una determinata idea della giovinezza che è molto vicina al culto della giovinezza fascista di cui però sembrano proporre gli elementi più folkloristici perdendone il sostrato culturale che pure diceva di una rivoluzione generazionale contro un mondo vecchio e cadente. Ma nelle iniziative governative non c’è nessuna rivoluzione, c’è solo una illusione, l’ennesima, una mortificazione della meglio gioventù d’Italia che alle settimane in caserma o nel centro sociale autorizzato preferirebbe una scuola e una università all’altezza, minori imposte sui prodotti culturali, una banda larghissima, il diritto al lavoro e non alla precarietà e un paese più libero dove i sogni dei giovani non sono mortificati da burocrazia e ordini professionali sordi e complici dei potenti.

Adriano Frinchi

Che qualche cosa non andasse nella annuale relazione al parlamento sulle tossicodipendenze se ne erano accorti in tanti e alle perplessità espresse in particolare dagli addetti ai lavori si aggiunge la clamorosa contestazione dei dati dell’ufficio tossicodipendenze della Presidenza del Consiglio da parte dell’Istituto di Fisiologia clinica del CNR raccolta dalla giornalista Francesca Paci per il quotidiano La Stampa . Il -25% nei consumi di droga sbandierato dal sottosegretario Giovanardi sarebbe un dato gonfiato secondo i ricercatori del CNR che snocciolano le loro cifre: la flessione del consumo ci sarebbe ma in misura molto minore dato che tra gli studenti l’uso di cannabis sarebbe sceso del 2% e non del 9%, inoltre per quanto riguarda eroina, cocaina e stimolanti tra il 2008 e il 2009 ci sarebbe un calo  ma solo rispettivamente dello 0,6%, dello 0,2% e dello 0,3%. Differenti i dati per quanto riguarda i consumi di alcolici infatti lungi dall’aumentare, come denuncia il governo, il consumo di alcol si è ridotto dell’1,7% e le ubriacature sono passate dal 43% del 2007 al 40% attuale, mentre aumenta il consumo di psicofarmaci, in particolare in due anni gli adolescenti che hanno ingerito Tavor sono saliti dal 10,4% all’11,8%. Qualche dubbio c’è anche sulle metodologie di indagine del dipartimento guidato da Giovanardi che ha optato per questionari da compilare sul computer mentre gli analisti del CNR si sono rifatti al più diffuso modello europeo con il questionario cartaceo in buste bianche. E’ evidente dai dati forniti dal CNR che i cali di consumi, se ci sono, sono piuttosto lievi e molto lontani da quelli pubblicizzati dal governo, inoltre si apprende dall’articolo della Paci qualcosa di molto strano: nel 2008, dunque subito dopo le elezioni,  il nuovo  governo Berlusconi pensò bene di inserire tra le sue priorità la revoca dell’incarico al CNR per la relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze per affidarla all’Università di Tor Vergata e a “sette qualificatissime fonti”. A questo punto il buon Antonio Lubrano avrebbe detto che “la domanda sorge spontanea” o meglio le domande sorgono spontanee: perché revocare l’incarico ad un istituto prestigioso e pubblico come il CNR che, tra l’altro, è  responsabile per l’Italia di Espad, il progetto del Consiglio d’Europa che ogni 4 anni analizza il mercato della droga di 39 paesi? Perché lasciare a spasso 40 ricercatori di un ente pubblico come il CNR che hanno sempre fatto un ottimo lavoro? Il passaggio da un istituto di ricerca all’altro dovrebbe essere quanto meno giustificato e caratterizzato da una certa trasparenza anche perché può determinare diverse metodologie nel raccogliere ed elaborare i dati e dunque una maggiore difficoltà di confronto con i dati delle annate precedenti. Di questa polemica resta il sorriso alla Fernandel di Giovanardi che si gongola di un dubbio -25% e le preoccupazioni di alcuni operatori del settore intimoriti dai dati gonfiati che potrebbero giustificare, in un clima di tagli, minori investimenti nella prevenzione e nella cura delle tossicodipendenze.

Adriano Frinchi

Come ogni anno è stata presentata la Relazione annuale al Parlamento sull’uso di sostanze stupefacenti e sullo stato delle tossicodipendenze e un gongolante sottosegretario Carlo Giovanardi, esattamente quello che aveva definito il povero Stefano Cucchi “anoressico, drogato e sieropositivo”, ha annunciato uno stupefacente (è il caso di dirlo) calo nel consumo di droghe ascrivendone il merito all’azione del Governo ed anche alla crisi economica che a quanto pare non è poi così solo psicologica come sostiene il Presidente del Consiglio. La poderosa relazione governativa, si tratta infatti di ben 487 pagine di dati e commenti, annuncia che i consumatori di sostanze stupefacenti sono passati da 3.934.450 a 2.924.500: un milione di consumatori in meno (-25,7%). Il dato sbandierato dal governo e oggetto di un’intensa peana giornalistica desta però qualche perplessità soprattutto per quanto riguarda la natura dell’indagine: nulla viene detto della metodologia d’indagine e inoltre si citano in maniera vaga le fonti che vengono solamente classificate come “diverse ed indipendenti fonti informative“. Ci si potrebbe legittimamente domandare perché una indagine di questo tipo non sia stata affidata all’Istat che è il principale produttore di statistica ufficiale a supporto dei cittadini e dei decisori pubblici. E’ pertanto auspicabile che nei prossimi giorni ci sia da parte del governo qualche chiarimento relativo all’indagine ed è bene che esperti, in particolare di statistica, studino il rapporto governativo per verificarne la bontà dei dati. In attesa di risposte e di ulteriori analisi dei dati c’è il riscontro degli “addetti ai lavori” che davanti alle trionfalistiche dichiarazioni di Berlusconi e Giovanardi hanno raffreddato gli entusiasmi e hanno snocciolato i loro dati: Fausto D’Egidio, segretario nazionale di Federserd e direttore del Sert di Pescara, non riscontra alcuna diminuzione di richieste di cura e denuncia: «attualmente nel mio Sert ho circa 650 persone in carico, ma ho dovuto introdurre il numero chiuso perche’ sommersi dalle richieste. C’è tanta gente in mezzo alla strada senza cure perche’ mancano risorse e personale. Non ce la facciamo»; dubbi sull’indagine vengono anche da Achille Saletti, presidente dell’associazione Saman, che dalle sue dieci comunità diffuse sul territorio nazionale rileva invece un aumento sia delle droghe legali che di quelle illegali: «In Lombardia ad esempio la domanda di cura non e’ affatto diminuita ma e’ aumentata, e ora arrivano anche i consumatori che abusano di psicofarmaci e di alcol». Un giudizio duro arriva anche da San Patrignano, comunità apprezzata e portata a modello da Berlusconi e dal centrodestra, per bocca di Andrea Muccioli che parlando di “fantomatici dati” chiede conto al governo di capire sistemi e metodologie di indagine del rapporto 2010. Muccioli non si limita a mettere in dubbio i dati del governo ma lancia un allarme per quanto riguarda “l’espansione del disagio”, secondo il responsabile di San Patrignano l’aumento di coloro che fuggono dalla realtà non è accompagnato da un progressivo aumento dell’aiuto, inoltre le comunità sono profondamente in crisi e purtroppo si configurano come discariche sociali in cui vengono mandate persone in regime di mantenimento farmacologico, non per cambiare ma per sopravvivere. Il figlio di Vincenzo Muccioli ha infine ricordato che negli ultimi 15 anni hanno chiuso oltre 300 comunità e che il numero delle persone che vi risiedono si è dimezzato negli ultimi 10 anni, così come si sono ridotti gli invii in comunità dal carcere. Il trionfalismo di Giovanardi e Berlusconi stona con la dura realtà riportata da chi ogni giorno si misura col problema droga e con tante, diverse e drammatiche storie di persone, particolarmente giovani, che hanno bisogno di un aiuto concreto e non di una sterile quanto inopportuna campagna propagandistica.

Adriano Frinchi

Settant’anni fa, il 10 giugno 1940, l’Italia iniziava la sua sciagurata avventura bellica al fianco della Germania nazista. In quel caldo lunedì di inizio estate gli sportivi leggevano dell’Ambrosiana Inter che si era aggiudicata il campionato dopo una partita di fuoco col Bologna e della vittoria al Giro d’Italia di uno sconosciuto esordiente di nome Fausto Coppi, ma molti di loro furono strappati alle notizie sportive dalla voce del padrone che convocava gli italiani per le 18 in una specialissima e fascistissima adunata. Mussolini, nella sua tetra divisa di caporale d’onore della milizia, dal balcone di Piazza Venezia volle avvertire l’Italia e il mondo che lanciava le sue “otto milioni di baionette” contro Francia e Gran Bretagna. Tra quelle baionette finì anche il ventenne Coppi che abbandonò la bici per andare da fante in Africa, ma ci finì anche mio nonno che era bravo a pallone e voleva sposarsi ma che dovette mettere da parte i suoi progetti per valicare le Alpi e pugnalare alle spalle i francesi, e come loro tanti altri giovani che da un giorno all’altro si trovarono in terra, mare e cielo a combattere la guerra di Mussolini. Mio nonno e tutti gli altri partirono per la guerra che erano dei giovani e tornarono che erano degli uomini: avevano perso la loro giovinezza sui campi di battaglia per un regime che cantava la giovinezza come primavera di bellezza ma che seppe riservare alle primizie d’Italia solo gli orrori della guerra. Enzo Biagi, che conobbe la tragedia di questa giovinezza svenduta, scrisse: «C’è qualcuno che ha detto che questa generazione, la mia, non ha avuto altro che il tempo di morire. Ma c’è una cosa che è ancora più triste, perché è vero che ci sono molti morti nella nostra vita, ma come ha detto Bernanos, “più morto di tutti è il ragazzo che io fui”. Voglio dire che quello che la guerra ha portato via e che nessuno ci potrà mai più rendere sono le illusioni, i sogni e gli errori dei vent’anni. Forse è qui la nostra grande attenuante, quella di una generazione che non ha mai avuto la giovinezza». Questo 10 giugno voglio ricordare quel ragazzo coi baffetti che fu mio nonno e tutti quei ragazzi come lui che furono derubati dei loro anni più belli, e voglio anche rivolgere il mio pensiero a tutti i giovani italiani che oggi anche senza una guerra mondiale rischiano di perdere i loro sogni e le loro speranze, rischiano di diventare la generazione che non ha avuto altro che il tempo dell’incertezza e della precarietà.

Adriano Frinchi

Riceviamo e pubblichiamo:
Permettetemi questo sfogo, colgo l’invito di proporre qui questo tema purtroppo attuale che logora da anni o forse secoli il settore pubblico dove i tanti figli di papà ricoprono impieghi immeritatamente senza che abbiano mai percepito quel senso di gratitudine verso un’Istituzione che a differenza di tanti lavoratori presso privati, ancora riesce a tutelarti e rispettare ogni scadenza senza farti ritrovare a bocca asciutta a fine mese. Sono un volontario in ferma quadriennale nell’esercito, in dirittura d’arrivo in quanto il mio contratto scade tra 6 mesi, ma questo incubo che incombe di ritrovarmi a spasso non mi permette di perder la fiducia in virtù delle mie motivazioni che mi spingono a credere fino in fondo di passare effettivo dopo oltre 5 anni di precariato.
Nonostante sia precario, mi ritengo fortunato. Molti vorrebbero essere al posto mio, ma tristemente la realtà che mi circonda è anche fatta di qualche collega che riesce a sputare in questo piatto che lo Stato ci offre. Secondo la modalità concorsuale nelle f.a. tra i vincitori i primi in graduatoria passano direttamente effettivi per le carriere nei Carabinieri e nella Polizia, la seconda parte invece viene per qualche anno “trattenuta” nell’Esercito che li ha lanciati, eppure la fretta e la voglia di passare direttamente in Polizia o Carabinieri permette a qualcuno di disgustare questo impiego, ritenuto obsoleto e inutile, a scapito di chi da anni con spirito di abnegazione e sacrificio si mette in discussione ogni giorno, rispetto a chi è disposto a vivere lontano da casa e ad accettare ogni scelta proveniente dall’alto in virtù della struttura gerarchica che compone questo settore e del giuramento fatto all’inizio, ma soprattutto a scapito dei tanti sfortunati concorrenti che per anomalie banali, o magari inesistenti, alle selezioni hanno dovuto rinunciare al sogno di arruolarsi. Mi chiedo come sia possibile che la gente comune, i veri “eroi” che con poco arrivano a fine mese, quelli che percepiscono di stipendio 450€, quando in busta paga ne compaiono 900€, quelli che non aspettano il sorgere del sole per recarsi a lavoro, quelli sfruttati, quelli in nero, quelli che devono aspettare dai tre mesi in su per essere pagati, nonostante tutte queste anomalie, siano grati alla possibilità che hanno di poter lavorare onestamente ed un soggetto che in precedenza non ha mai lavorato, si ritrova con un’uniforme addosso, grazie alla segnalazione ed all’aiuto del padre che in una forza di Polizia ricopre un incarico come ufficiale. Il caso specifico è di un collega con cui ho sempre discussioni che detto da lui rinuncerebbe volentieri a queste 930€ che gli fanno schifo, ma non sarà sicuramente solo visto che già dall’alto
chiari esempi di scarsa meritocrazia sono sotto gli occhi di tutti.
Questa è l’Italia cari amici.  A voi le riflessioni.

C’è un libro che si regala ai bambini ma che forse dovrebbero leggere tutti gli adulti perché dice una infinità di cose grandi e belle che purtroppo, presi dalle mille cose che si muovono sotto il cielo, noi adulti spesso dimentichiamo. Mi riferisco a “il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupery e da questo splendido libro voglio partire per fare una riflessione sul partito che verrà. So che è un po’ inusuale come punto di partenza, forse avrei potuto citare qualche importante statista o ancora qualche filosofo ma invece voglio partire da questo grande uomo, da questo scrittore ed aviatore che ci ricorda quelle due o tre cose fondamentali della vita che, credo, sono anche indispensabili per la politica. E allora penso che la frase più adatta in questo momento storico si trova al capitolo XXI di questo piccolo grande libro: “è il tempo che hai perso per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”. A primo impatto sembra una frase banale quasi scontata, invece credo sia un aforisma di una portata immensa che ci fa capire come nella vita le cose importanti nascono solamente da persone disponibili, impegnate, disposte anche a perdere non solo il tempo ma qualcosa di sé per ciò che si ritiene un bene. Così sarà anche per il nuovo partito, che avrà un futuro solamente se a costruirlo saranno uomini e donne di questo spessore, pronti in ultima analisi ad essere generosi e dunque “a perdere” qualcosa. Non si andrà da nessuna parte se chi si impegnerà per questo progetto lo farà per raggiungere ed ottenere posizioni di prestigio e di potere: solamente la politica intesa come servizio garantirà un futuro concreto a questa nuova avventura politica. Il secondo elemento prezioso che ricavo dalla massima di Saint-Exupery è che per le cose buone serve tempo. Sì, il partito della Nazione, della Repubblica, qualunque sia il suo nome, non deve e non può nascere a tavolino, per decisione di pochi ma dovrà essere il frutto di un processo democratico che coinvolga i cittadini e per far ciò occorre il tempo: tempo per le idee, tempo per organizzare, tempo per fare una proposta politico-culturale alla nostra società. E’ necessario comprendere che questo nuovo partito non è una operazione elettorale o peggio un semplice maquillage politico, ma è un progetto serio e partecipativo, competitivo per il futuro. “Perdere tempo” per questa rosa è autentica dedizione che però deve avere dei punti cardine: concretezza, cultura e giovani. Il progetto del partito della nazione dovrà essere concreto, ciò significa abbandonare il politichese e le incomprensibili e machiavelliche piroette delle vecchie volpi della politica a tutto vantaggio di un linguaggio chiaro e comprensibile alla gente; in secondo luogo è necessario ricreare una classe politica che nasce dalle amministrazioni locali (cosa di più concreto?), dal duro lavoro degli enti locali e non dai salotti bene e dalle corti politiche; bisogna tornare a confrontarsi con i problemi della gente, i massimi sistemi sui quali alle volte ci attardiamo a discutere lasciano il tempo che trovano e ci allontanano dalla gente. A proposito la discussione sul simbolo del partito (scudocrociato sì, scudocrociato no) non credo sia un buon punto di partenza per il nuovo partito, ci sarà modo di confrontarsi su questo tema che sicuramente ha un certo rilievo ma gli italiani oggi non chiedono un nuovo simbolo o una nuova sigla ma chiedono un nuovo modo di fare politica. La seconda coordinata del partito della nazione dovrà essere la cultura. Il progetto politico deve essere preceduto da un progetto culturale forte e credibile che rappresenti una novità rispetto all’ammuffita cultura di certi ambienti di sinistra e una alternativa di qualità rispetto al berlusconismo. Fare cultura significa prima di tutto tornare a pensare, cioè essere capaci di confronto e di indicare nuovi orizzonti, ed essere presenti nei luoghi della cultura (le agorà virtuali, la stampa, l’università, la scuola…). Non dobbiamo solo proporre un programma elettorale, dobbiamo essere portatori di una visione del mondo consapevole delle proprie radici ma aperta al futuro fiduciosamente imperniata nel dialogo con la cultura contemporanea. Infine i giovani. Non è banale giovanilismo, ma si tratta, come ha detto giustamente Casini a Todi, di ritrovare un contatto con i giovani che oggi sono decisamente incupiti e smarriti per un futuro decisamente non roseo. Il partito che verrà dovrà essere un partito dei giovani e per i giovani, capace di suscitare entusiasmo, di accendere la passione, di dare sfogo a tutte quelle energie di cui sono pieni i giovani, un partito che ritorna nelle università e nelle scuole, capace dunque di aggregare e affascinare. E il partito che sogniamo prima che dei giovani e per giovani dovrà essere un partito giovane non solo anagraficamente ma soprattutto nello spirito, dobbiamo allora costruire un partito ricettivo a ciò che è bello, buono e grande, che si interroga come un ragazzo insaziabile, che sfida gli avvenimenti ed è capace di profezia.
Infine ho un sogno. Molti mi conosco e sanno che non sono un pauperista però mi piacerebbe che nelle prime file dei nostri convegni e dunque tra le nostre prime preoccupazioni ci fosse la povera gente. Troppi potenti e ricchi nelle nostre prime file che sicuramente potranno foraggiare il nostro partito e i nostri uomini per raggiungere i loro interessi, ma che ci faranno sicuramente calpestare tutti coloro per cui noi ci impegniamo in politica. Non cerchiamo il nostro Berlusconi, e non inseguiamo nemmeno i vari Montezemolo, ma spendiamo il nostro tempo per i nostri concittadini che non arrivano alla fine del mese. Un partito solidale, dalla parte dei poveri, dei deboli e degli ultimi questo dobbiamo costruire, questo sarà veramente un partito nuovo.
Alla fine di queste riflessioni sparse, che spero daranno un minimo contributo al dibattito intorno al nuovo partito, ritorno ancora una volta a quella citazione iniziale e mi chiedo e vi chiedo: “c’è qualcuno disposto a perdere tempo per una rosa?”.

Adriano Frinchi

RIceviamo e pubblichiamo:

Caro on. le Casini,
Le scrivo mosso da un misto di rabbia e sconforto. Le scrivo mosso non da un desiderio idealista-utopista di purificazione morale del mondo ma,  al contrario, dalla necessità di cambiamento divenuta irrinunciabile per la stessa sopravvivenza delle istituzioni politiche e lo scongiuro di una guerra civile. Magari le mie parole le risulteranno esageratamente catastrofiste e “rivoluzionarie” ma, come le dicevo, sono  giunto alla conclusione che i partiti si siano giocati le loro ultime carte con questa pietosa, ipocrita e confusa campagna elettorale. Ho vissuto ed incamerato lo scoramento totale della gente, la deprimente tendenza a considerare marcio o truffaldino qualsiasi tipo di progetto nuovo che sia ricollegato alla politica “tradizionale”…ho toccato con mano il disfattismo cialtrone e qualunquista delle persone rassegnate al meno peggio ed abituate al binomio inscindibile “politico=ladro”. Ho visto riciclati e trombati passare dal  Pd al Pdl facendo tappa nell’Udc e poi nell’Idv…ho visto giovani già vecchi nel loro modo di pensare e di agire. Ho visto il mio futuro grigio come il cemento armato delle carceri. Ma ho visto anche il bicchiere mezzo pieno riempito dall’entusiasmo di tantissimi ragazzi che  hanno forza, idee e capacità non per rendere perfetto questo sgangherato paese ma per rimediare a molte delle sue inconcepibili e non  necesserie brutture.
Quasi cominciavo a sperare che qualcosa, qualcosa di piccolo ma importante, potesse finalmente cambiare. E invece? E invece vedo l’Italia imbrigliata dalla Lega e, cosa ancora più orribile, l’Udc che potrebbe riallacciarsi alla maggioranza. Sarebbe la più grande delusione della mia vita vederla stringere nuovamente la mano a razzisti, xenofobi, cristiani-celtici e cattolici-adulteri.
Sarebbe la fine di tutto e l’annegamento della piccola luce che stava per accendersi. Non abbiamo bisogno di leader buoni o cattivi; di messia  o nuovi santi-martiri caro Presidente. Abbiamo bisogno, “semplicemente”, di uomini coraggiosi…che siano pronti a rinunciare al  poco che hanno per ottenere molto di più non solo per loro stessi ma
anche per chi si fida di loro e li segue. Non pretendo un mondo dove, tutti in circolo e tenendoci per mano, cantiamo Kumbaya. Non immagino un mondo dove non esistono ricchi e poveri, ingiustizie e disparità…non mi concedo
utopie sognanti che parlano di governi guidati da superuomini dall’inflessibile moralità e dalla perfetta etica. Governare questo paese frignone e spesso ignavo è compito arduo e deve essere fatto alternando un sensato relativismo ad una giusta fermezza. In ogni caso non le scrivo assolutamente per indicarle come governare; non ne ho
 le capacità, l’esperienza e le conoscenze. Le scrivo solo questa sorta di “supplica-esasperata” riguardo ad un provvedimento che reputo non solo moralmente giusto ma SOCIALMENTE NECESSARIO. VIA I MEDIOCRI E I LESTOFANTI DALL’UDC…via coloro che portano voti ma che derubano il futuro alle attuali generazioni. VIA I COMPROMESSI con i corrotti e via il concetto di “potere a tutti i costi”. Come dicevo questa forma di rinnovamento forte è coraggioso non deve essere spinta da un elevato senso di giustizia ma DALLA NECESSITA’ DI SOPRAVVIVERE E DI EVITARE IL TRACOLLO DI QUESTO PAESE (E DELLA MIA REGIONE IN PARTICOLARE; LA CAMPANIA).
Eliminare la feccia dal partito vorrebbe  dire giocarsi tutto quel 6% di elettorato ma significherebbe, al contempo, non offrire “alibi” a chi oggi guarda con diffidenza all’unione di centro. Non so: forse qualcuno penserà che sto delirando e forse è effettivamente così ma, mi creda, avere 23 anni e sapere che, per fare quello che voglio fare (il giornalista) dovrò prima o poi rinunciare alla mia dignità e vendermi a qualcuno, è incredibilmente frustrante…quello che noto è un incredibile ed insostenibile spreco di risorse positive e di giovani dalla mente libera e creativa. Premiare i meritevoli, mi creda, non può che produrre risultati straordinari PER TUTTI. Affidarsi ai migliori, alla lunga, PREMIA.
Ho scritto troppo, lo so e me ne scuso…probabilmente queste mie righe nemmeno le leggerà mai ma, mi creda, se l’Udc riuscisse a portare avanti in maniera credibile, profonda e concreta il rinnovamente che sbandiera da anni (insieme a tutti gli altri partiti) io sarei il primo a prenderne parte; a giocarmi tutto ciò che ho e che sono per far vincere il progetto. E con me che non sono nessuno, le assicuro, ci sarebbero tantissimi pronti a fare lo stesso; a partire dal gruppo giovanile di Caserta. Lei una volta disse:”Vorrei dei giovani che rompessero nel partito”. Bene…c’è un esercito di giovani pronti a fracassarle. Che facciamo? Passiamo dalle parole ai fatti?
GRAZIE PER L’ATTENZIONE
Cordiali Saluti
 Germano Milite