Caro Veltroni,

sono uno di quegli italiani a cui ha indirizzato la sua lettera aperta dalle pagine del Corriere delle Sera e che dopo la lettura è rimasto assolutamente perplesso. La sua è una bella lettera non solo perché scrive molto bene, ma  perché  è un’ottima fotografia dell’attuale situazione socio-politica, tuttavia la sua missiva si limita al momento presente dimenticando di dire qualcosa sul passato e soprattutto sul futuro. E lei, caro Veltroni, non si può permettere di essere un osservatore disincantato, uno di quelli che negli ultimi tempi, come disse amaramente Bettino Craxi, sono stati sulla Luna. Mi sarei aspettato qualche parola in più sul recente passato perché lei ne è stato protagonista e direi responsabile, non solo perché è stato candidato premier nelle ultime elezioni politiche ma perché è stato protagonista insieme a Romano Prodi della stagione dell’Ulivo. Il presente è sempre risultato del passato e nel nostro passato non c’è solo Berlusconi, ma ci sono anche i due esecutivi guidati da Romano Prodi, entrambi di vita breve, con maggioranze rissose quanto quella attuale che non hanno saputo interpretare pienamente le istanze di cambiamento degli italiani , che non hanno saputo o voluto prendere dei provvedimenti necessari come la legge sul conflitto di interesse o la riforma della legge elettorale all’indomani delle politiche del 2006. Lei nella sua lettera critica il bipolarismo dell’era Berlusconi ma debbo ricordarle che è un bipolarismo che il centrosinistra ha sempre alimentato ondeggiando tra antiberlusconismo e legittimazione di Berlusconi: la fortuna più grande di Berlusconi probabilmente è stata avere voi come avversari e la straordinaria maggioranza ottenuta dal Cavaliere nelle politiche del 2008 è stata determinata proprio da quella inutile corsa al bipartitismo italiano iniziata da lei e Berlusconi, che l’ha costretta ad una inutile mattanza dei suoi alleati e delle voci libere di questo Paese. Bipolarismo, bipartitismo, partitismo diventano solo alchimie politiche se mancano progetti e programmi e se soprattutto gli italiani non sono liberi di scegliere, di esprimere la propria preferenza. Se nella sua lettera manca questa consapevolezza del passato, e soprattutto degli errori commessi, manca anche la progettualità per il futuro. Lei conclude la missiva al suo Paese con un “è possibile” che ricorda tanto il suo recente “si può fare” e naturalmente l’obamiano “yes, we can”.  Ma c’è una differenza fondamentale tra il suo slogan e quello di Obama: mentre il suo “si può fare” o il suo “è possibile” rimane assolutamente generico e indeterminato, le parole d’ordine obamiane si sono concretizzate sin dal primo momento nella promessa e nell’impegno della riforma del sistema sanitario americano. Il “change” di Obama non era una bella parola, una poesia ma era la riforma sanitaria che sarà poco poetica ma è qualcosa di concreto, è soprattutto il mantenimento di una promessa che gli ha permesso di conquistare la Casa Bianca. Il suo “è possibile” alla fine della lettera agli italiani è sicuramente una apertura al futuro, ma oggi non basta aprire porte sul futuro, occorre indicare una via ed avere il coraggio di percorrerla. Caro Veltroni, personalmente sono convinto della sua buona fede e delle sue alte aspirazioni e se le ho fatto questi rilievi è solo perché sono convinto che sia giunto il tempo della franchezza, della responsabilità, della concretezza e del coraggio. Berlusconi uscirà di scena solo quando sarà possibile costruire una alternativa basata su un serio e concreto progetto di cambiamento che non sia illustrato in un programma di mille pagine ma in soli tre punti realizzabili, che permetta alla fine di una legislatura di poter dire: “abbiamo fatto questo”, “abbiamo mantenuto questa promessa”. Questa è la strada per l’alternativa a Berlusconi ed anche per chi si candida ad occuparne lo spazio politico. Questa è la strada per far uscire il nostro Paese dalla palude.

Adriano Frinchi

Caro Presidente Casini,

ho pensato a lungo prima di scriverle. Mi perdonerà se ho avuto l’ardire di seguire il consiglio che lei ci rivolse l’anno scorso alla Summer School dell’Udc, quello cioè, di farsi sentire, di “rompere per costuire”, come disse lei. Sono convinto che quell’invito non possa avere più valore che in questi giorni di grande confusione e concitazione, proprio quando la realizzazione del progetto del Partito della Nazione sembra essere ad un passo dal compimento e proprio quando il nostro partito è bersaglio di una vera e propria offensiva da parte del Centro Destra con lo scopo di “riportarci a casa” (tanto per usare un’espressione ricorrente). Non so se quello che sto per scrivere sia giusto o rispettoso, ma lo prenda, per favore, come lo sfogo di un ragazzo sedicenne che crede in lei e crede soprattutto nel progetto che da due anni a questa parte propagandiamo con forza.

Vengo da una famiglia con solide origini democristiane, popolari e anche assai terziste. Nel 2008, in piena campagna elettorale, ho maturato la mia prima convinta e ben ponderata riflessione politica che mi ha portato ad avvicinarmi all’Udc. La prova di coraggio da voi dimostrata mi aveva letteralmente conquistato e mi aveva convinto che se avessi voluto intraprendere la strada della politica, non avrei potuto scegliere compagnia migliore della vostra. Per questo, con un po’ di anticipo sui tempi previsti, ho bussato alla porta della sezione Udc del mio paese e lì ho cominciato a fare politica seria: ascoltare le istanze dei cittadini, elaborare proposte di rilancio e rinnovamento e convincere i miei coetanei che si può continuare a sognare un futuro migliore, sono diventati le mie passioni principali, sempre alimentante dal sogno di poter cambiare le cose. E in meglio. Quando poi a Roma, l’anno scorso, ha lanciato per la prima volta l’idea del Partito della Nazione, mi sono definitivamente convinto che cambiare le cose si può fare davvero e ho raddoppiato l’impegno che avevo profuso fino ad allora. Non nascondo, certo, che i diversi rallentamenti durante il nostro cammino mi sono dispiaciuti. Solo che ora, i tempi mi sembrano davvero maturi e evidentemente lo sono, se sia da Destra che da Sinistra tentano di tarparci le ali. Ma noi non possiamo mica farci impaurire dagli aut aut o soggiogare da sostanziose offerte. La stella polare del nostro cammino deve essere sempre e solo una: la realizzazione del progetto che lei lanciò nel 2008 e che ha sostenuto durante tutti questi anni.

Lo si chiami Grande Centro, Terzo Polo, Cosa bianca o Polo Laico, a me non interessa. I nomi sono ben poca cosa in confronto al grande momento che stiamo vivendo: il nostro nuovo partito non vincerà la sfida con il futuro certo con i sofismi linguistici ma con la solidità delle nostre proposte. Dopo due anni di attesa, speranza, cambi di marcia, stop forzati, il grande momento sembra essere finalmente giunto! Il sogno di un nuovo polo capace di modificare la forzata e imposta realtà del bipolarismo “muscolare e coercitivo” era in principio solo dell’Udc: ci ridevano contro, consideravano il voto dato a noi “inutile” e sognavano di ingabbiarci nell’uno o nell’altro schieramento, valletti dei due grandi partiti dai piedi d’argilla. Oggi invece ci cercano insistentemente, ripetono che la nostra scelta solitaria è stata “coraggiosa”, ci vorrebbero addirittura accanto nella guida del Paese. Temono che quello che poteva essere solo qualche tempo fa l’illusione di uno sparuto gruppo di oppositori o un’infatuazione passeggera di alcuni intellettuali terzisti, stia diventando una solida realtà. Perché così è: ci sono in movimento nuove forze, nuove energie che non possiamo assolutamente permetterci di smarrire.

La fuori, Presidente, c’è un mondo che aspetta solo di essere ascoltato e sostenuto. C’è un’Italia che è stanca delle continue e infruttuose divisioni da stadio che viviamo ogni giorno, stanca di dover lottare per arrivare a fine mese, stanca di non poter sognare un futuro migliore. C’è un Nord che non ne può più delle sparate leghiste, che si trova costretto a dover fare i conti con un’agricoltura e un’industria in crisi, che non ne vuole più sapere di essere ingannato quotidianamente. E c’è un Sud che lotta e non si arrende, che ne ha fin sopra i capelli di classi dirigenti fallimentari e sprecone e che non vuole più sentire parlare di mala sanità o istruzione scadente. Ci sono giovani e giovanissimi che come me e tanti altri che sono convinti che le cose si possano cambiare davvero e che lottano per riuscirci; laureati che sono costretti ad emigrare e scappare e che invece rappresentano il futuro del nostro Paese; operai, insegnanti e dottori che dopo aver lottato una vita, si vedono chiusi il proprio posto di lavoro per assenza di fondi; imprenditori soffocati da tasse eccessive e spesso incomprensibili; si potrebbe continuare per pagine e pagine. Abbiamo il dovere, noi come semplici elettori e militanti e lei come nostra guida, di riscoprire un orizzonte dimenticato, quello della buona politica. Altro che giochetti di potere per contrattare questa o quella poltrona, altro che nostalgici residuali di una vecchia politica! Noi siamo molto più moderni di quello che si possa credere. Perché abbiamo il coraggio di mettere in discussione un sistema che non funziona più: Pd e Pdl sono due blocchi conservatori che sperano di continuare a prosperare in questo bipolarismo, che ha finito per dar vita a due mostri come Pdl e Lega, pendente verso gli estremismi e populismi, anziché verso centrismo e moderazione.

Mi scuserà la lunghezza della lettera, Presidente, ma qui si tratta di un sogno, di un programma, di un progetto, che non si possono far naufragare nel nulla. Lasci da parte le sirene di Berlusconi, glielo dico con franchezza, e si concentri solo su se stesso e su di noi. Ad oggi non ci interessa stare a Destra o a Sinistra, in maggioranza o meno: continuiamo a fare quello che abbiamo fatto finora, opposizione costruttiva. Abbiamo fiducia in lei, Presidente. Sono sicuro che potremo riuscire a fare questo benedetto Partito della Nazione, insieme. Per noi, per l’Italia tutta, per il nostro futuro.

GIUSEPPE PORTONERA