Caro Presidente Casini,

ho pensato a lungo prima di scriverle. Mi perdonerà se ho avuto l’ardire di seguire il consiglio che lei ci rivolse l’anno scorso alla Summer School dell’Udc, quello cioè, di farsi sentire, di “rompere per costuire”, come disse lei. Sono convinto che quell’invito non possa avere più valore che in questi giorni di grande confusione e concitazione, proprio quando la realizzazione del progetto del Partito della Nazione sembra essere ad un passo dal compimento e proprio quando il nostro partito è bersaglio di una vera e propria offensiva da parte del Centro Destra con lo scopo di “riportarci a casa” (tanto per usare un’espressione ricorrente). Non so se quello che sto per scrivere sia giusto o rispettoso, ma lo prenda, per favore, come lo sfogo di un ragazzo sedicenne che crede in lei e crede soprattutto nel progetto che da due anni a questa parte propagandiamo con forza.

Vengo da una famiglia con solide origini democristiane, popolari e anche assai terziste. Nel 2008, in piena campagna elettorale, ho maturato la mia prima convinta e ben ponderata riflessione politica che mi ha portato ad avvicinarmi all’Udc. La prova di coraggio da voi dimostrata mi aveva letteralmente conquistato e mi aveva convinto che se avessi voluto intraprendere la strada della politica, non avrei potuto scegliere compagnia migliore della vostra. Per questo, con un po’ di anticipo sui tempi previsti, ho bussato alla porta della sezione Udc del mio paese e lì ho cominciato a fare politica seria: ascoltare le istanze dei cittadini, elaborare proposte di rilancio e rinnovamento e convincere i miei coetanei che si può continuare a sognare un futuro migliore, sono diventati le mie passioni principali, sempre alimentante dal sogno di poter cambiare le cose. E in meglio. Quando poi a Roma, l’anno scorso, ha lanciato per la prima volta l’idea del Partito della Nazione, mi sono definitivamente convinto che cambiare le cose si può fare davvero e ho raddoppiato l’impegno che avevo profuso fino ad allora. Non nascondo, certo, che i diversi rallentamenti durante il nostro cammino mi sono dispiaciuti. Solo che ora, i tempi mi sembrano davvero maturi e evidentemente lo sono, se sia da Destra che da Sinistra tentano di tarparci le ali. Ma noi non possiamo mica farci impaurire dagli aut aut o soggiogare da sostanziose offerte. La stella polare del nostro cammino deve essere sempre e solo una: la realizzazione del progetto che lei lanciò nel 2008 e che ha sostenuto durante tutti questi anni.

Lo si chiami Grande Centro, Terzo Polo, Cosa bianca o Polo Laico, a me non interessa. I nomi sono ben poca cosa in confronto al grande momento che stiamo vivendo: il nostro nuovo partito non vincerà la sfida con il futuro certo con i sofismi linguistici ma con la solidità delle nostre proposte. Dopo due anni di attesa, speranza, cambi di marcia, stop forzati, il grande momento sembra essere finalmente giunto! Il sogno di un nuovo polo capace di modificare la forzata e imposta realtà del bipolarismo “muscolare e coercitivo” era in principio solo dell’Udc: ci ridevano contro, consideravano il voto dato a noi “inutile” e sognavano di ingabbiarci nell’uno o nell’altro schieramento, valletti dei due grandi partiti dai piedi d’argilla. Oggi invece ci cercano insistentemente, ripetono che la nostra scelta solitaria è stata “coraggiosa”, ci vorrebbero addirittura accanto nella guida del Paese. Temono che quello che poteva essere solo qualche tempo fa l’illusione di uno sparuto gruppo di oppositori o un’infatuazione passeggera di alcuni intellettuali terzisti, stia diventando una solida realtà. Perché così è: ci sono in movimento nuove forze, nuove energie che non possiamo assolutamente permetterci di smarrire.

La fuori, Presidente, c’è un mondo che aspetta solo di essere ascoltato e sostenuto. C’è un’Italia che è stanca delle continue e infruttuose divisioni da stadio che viviamo ogni giorno, stanca di dover lottare per arrivare a fine mese, stanca di non poter sognare un futuro migliore. C’è un Nord che non ne può più delle sparate leghiste, che si trova costretto a dover fare i conti con un’agricoltura e un’industria in crisi, che non ne vuole più sapere di essere ingannato quotidianamente. E c’è un Sud che lotta e non si arrende, che ne ha fin sopra i capelli di classi dirigenti fallimentari e sprecone e che non vuole più sentire parlare di mala sanità o istruzione scadente. Ci sono giovani e giovanissimi che come me e tanti altri che sono convinti che le cose si possano cambiare davvero e che lottano per riuscirci; laureati che sono costretti ad emigrare e scappare e che invece rappresentano il futuro del nostro Paese; operai, insegnanti e dottori che dopo aver lottato una vita, si vedono chiusi il proprio posto di lavoro per assenza di fondi; imprenditori soffocati da tasse eccessive e spesso incomprensibili; si potrebbe continuare per pagine e pagine. Abbiamo il dovere, noi come semplici elettori e militanti e lei come nostra guida, di riscoprire un orizzonte dimenticato, quello della buona politica. Altro che giochetti di potere per contrattare questa o quella poltrona, altro che nostalgici residuali di una vecchia politica! Noi siamo molto più moderni di quello che si possa credere. Perché abbiamo il coraggio di mettere in discussione un sistema che non funziona più: Pd e Pdl sono due blocchi conservatori che sperano di continuare a prosperare in questo bipolarismo, che ha finito per dar vita a due mostri come Pdl e Lega, pendente verso gli estremismi e populismi, anziché verso centrismo e moderazione.

Mi scuserà la lunghezza della lettera, Presidente, ma qui si tratta di un sogno, di un programma, di un progetto, che non si possono far naufragare nel nulla. Lasci da parte le sirene di Berlusconi, glielo dico con franchezza, e si concentri solo su se stesso e su di noi. Ad oggi non ci interessa stare a Destra o a Sinistra, in maggioranza o meno: continuiamo a fare quello che abbiamo fatto finora, opposizione costruttiva. Abbiamo fiducia in lei, Presidente. Sono sicuro che potremo riuscire a fare questo benedetto Partito della Nazione, insieme. Per noi, per l’Italia tutta, per il nostro futuro.

GIUSEPPE PORTONERA

Tremonti è uno di quei politici che parla poco, ma che quando parla sa sempre il fatto suo. Lo abbiamo conosciuto negli anni sempre intento a far di conto, a gestire questo o quel problema finanziario, molto preciso e puntiglioso. Ultimamente, sarà la febbre da successione nel Pdl, è diventato molto più loquace ed ha sempre una parolina per tutto: ormai, le sue pubbliche uscite a conferenze o incontri con le parti sociali sono davvero imperdibili. Anche perché, di solito, sono sempre vespaio di polemiche. Il nostro ministro non s’è smentito nemmeno qualche giorno fa, quando, intervenendo all’assemblea della Coldiretti, non ha risparmiato critiche alla gestione delle risorse economiche al Sud. “Più il Sud declinava, più i fondi salivano: questa cosa è di una gravità inaccettabile”, ha evidenziato Tremonti, secondo cui la colpa di questo “scandaloso percorso” non è dell’Unione Europea né dei governi nazionali, di destra o sinistra che siano. “È colpa della cialtroneria di chi prende i soldi e non li spende: e siccome i soldi per il Sud saranno di più e non di meno nei prossimi anni, allora non si può continuare con questa gente che sa solo protestare ma non sa fare gli interessi dei cittadini”. Sono parole durissime che, come prevedibile, hanno mandato in bestia i governatori del meridione, che hanno corrisposto pan per focaccia alle critiche ministeriali.

Ma se Tremonti avesse ragione? Insomma, questi fondi esistono (anche quando qualcuno tenta di scipparli) e sono pure belli cospicui. Eppure qui al Sud le cose non vanno per nulla bene: ci sono grandi opere pubbliche che restano incompiute, una sanità che non funziona, scuole o ospedali messi male. Nell’ambito del programma 2007-2013, infatti, il Ministro ha assicurato che c’è stato per il Sud uno stanziamento di fondi europei pari a 44 miliardi, ma – dice – ne sono stati spesi solo 3,6: come mai la maggior parte di questi soldi finisce inutilizzata? Scorrendo velocemente le statistiche ci si rende conto che la Calabria, per esempio, ha utilizzato solo il 12% dei 1.868 milioni di euro assegnati, “perdendone” 1.643,84; seguono la Puglia (16,22%, spreco 2.740,44 milioni), la Sicilia (18,99%, 3.493,96), la Campania (20,8%, 3.251.16). Perché, maledizione? Perché non si usano fino all’ultimo centesimo questi benedetti fondi? Certo, se il nostro ministro è davvero convinto che la colpa sia dei governatori, questi non la pensano proprio come lui e fanno notare che grazie alle Tabelle del Rapporto Strategico 2009 redatto dal Dipartimento Politiche di Sviluppo, si può verificare che sul totale dei Fondi comunitari gestiti dai ministeri (PON), che ammonta a circa 11 miliardi, i ministeri interessati (Sviluppo Economico, Ricerca, Ambiente, Interni, Infrastrutture) hanno speso poco più di 732 milioni di euro, pari al 6,7 % della dotazione disponibile. È ovvio, insomma, che parlando di spreco di soldi, si giocherà a puntare il dito l’uno contro l’altro. Ma io, amici miei, non ci sto. Non voglio cadere nella retorica provata dello scarica-barile, ne fare polemiche autonomiste contro Roma (anche perché sapete bene come la penso su questo punto). Vorrei solo poter vivere in una terra finalmente capace di poter riscoprire l’orgoglio che l’ha sempre contraddistinta e che possa diventare treno motore, anziché vagone al rimorchio. A me piacerebbe che il tutto partisse dal basso, dalla gente comune che non ne può proprio più dei dinosauri della politica che l’hanno solo soffocata per tutto questo tempo; dai nostri laureati e dai nostri geni, che invece di dover emigrare (o meglio, fuggire) potrebbero diventare la leva con cui risollevare la nostra situazione; dai nostri lavoratori, che non possono sempre pagare per primi, vedendosi chiudere la fabbrica in cui hanno lavorato per una vita; da tutti noi, insomma, da chi il Sud lo vive per com’è davvero e non come certi tizi lo vorrebbero fare apparire. Meridionali, arrabbiamoci: ormai ce n’è proprio di bisogno! Per fare capire a chi ci comanda, che non si può spuntare a tempo di elezione e poi sparire nel nulla. Il Sud è attualmente più arretrato del Nord e la questione meridionale tiene banco da 150 anni, ok. Ma chi l’ha detto che le cose non possono cambiare? Chi l’ha detto che le nostre potenziali sono minori di quelle della Padania? Il cammino è lungo e faticoso, ma sono convito che non si possa più permettere che a decidere la strada siano sempre i soliti spreconi che ci hanno governato: favoriamo il ricambio generazionale, lanciamo la rivoluzione della buona politica proprio da qui, dal “malfamato, mafioso e sprecone” Sud. Le potenzialità non mancano, ma servono molta, molta buona volontà e tanta caparbietà. Perché il nostro futuro sia migliore del nostro passato.

GIUSEPPE PORTONERA